ANTEPRIMA
All’ombra delle due torri
Molto forte, incredibilmente vicino non è certo da annoverare tra i titoli migliori di questi anni, come dimostrano, nonostante i premi e le candidature ottenute, i modesti risultati al botteghino per una produzione di prima categoria che vede tra i suoi attori Tom Hanks, Sandra Bullock e Max von Sydow.
Il film di Stephen Daldry (Billy Elliot, The Hours) – incentrato sul piccolo Oskar che, un anno dopo l’11/9, esplora New York alla ricerca di ciò che cela un’anonima chiave di sicurezza trovata tra gli oggetti del padre deceduto nell’attentato – è un dramma strappalacrime senza infamia né lode. A più di dieci anni dalla tragedia, quando il cinema e la cultura statunitense cercano ormai di tirare le fila del discorso (anche The Avengers hanno capito che solo uniti è possibile superare le avversità, singole o collettive che siano), Daldry aggiunge un tassello al mosaico elaborativo dell’attentato, dimostrando nuovamente come l’11 settembre resti una ferita presente nel sentire comune americano.
Come il recente Un giorno tutto questo dolore ti sarà utile, anche questo film è l’adattamento di un romanzo omonimo il cui punto di forza è il giovane protagonista. Entrambe le pellicole riflettono, pur se in ritardo sui tempi, sulle conseguenze che una tragedia come quella del WTC ha provocato sui ragazzini, segnandone irreparabilmente l’esistenza soprattutto a livello psicologico (le fobie di Oskar come il carattere cinico e snob di James Sveck), condizionandone così i comportamenti sociali. Sia uno che l’altro infatti vivono in solitudine, incapaci di relazionarsi con un presente disastrato, preferendo aggrapparsi ai ricordi (i momenti col padre e l’ossessiva catalogazione di ciò che vede, trova, sente per il primo, il proprio trascorso e quello dell’anziana nonna per il secondo), per non perdere quel poco che ancora vive di un tempo passato e migliore, facendo così della loro ricerca un tentativo di porre ordine in un caotico “io” personale quanto comunitario.
Certo, Daldry (come Faenza) gioca facile, calcando la mano sul tema di un indotto disagio giovanile e probabilmente il suo lavoro, uscito qualche anno prima, avrebbe riscosso – almeno in patria – un successo maggiore. Quel che però qui preme non è tanto l’accusa o la difesa del film, ma inquadrarlo in un contesto storico-culturale che ne metta in luce il valore di “testimone” della realtà contemporanea, di cui il cinema si dimostra ancora una volta acuto strumento di analisi, interpretazione e narrazione.