La banalità dell’indifferenza
Ciò di cui ci accorgiamo poco dopo l’inizio di Margin Call è di come tutto il resto che non abbia a che fare con l’istituto finanziario al centro della racconto sia lasciato fuori campo. Non c’è niente di strano, del resto ci troviamo nei piani alti di una delle maggiori multinazionali (nel film rigorosamente anonima) mondiali alla vigilia di quello che ha portato, anzi sta portando, sempre più verso il collasso il mercato globale.
Sarebbe fin troppo semplice parlare delle lucida indifferenza che sempre più questo modello economico, e soprattutto di chi ne fa parte, mostra di avere nei confronti di tutto ciò che gli sta attorno. Qui nella pellicola di J. C. Chandor viene riportata con altrettanta consapevolezza e semplicità da lasciare atterriti, proprio perché mai come adesso il re è nudo. Banale potrebbe quasi sembrare la sequenza che vede due dei pezzi grossi della società parlare delle sorti dell’azienda e dell’economia mondiale, mentre a trovarsi nel mezzo vediamo una donna delle pulizie, evidente frattura percettiva e unico spiraglio dove ad esser mostrato è quel resto del mondo lasciato, da sempre, in fuori campo. L’inconsapevolezza della donna (se ci estraniassimo dal nostro essere spettatori per calarci nei suoi panni potremmo pensare alla conversazione come ad una semplice scappatella amorosa) a quanto sta avvenendo potrebbe, appunto, sembrare banale ma è in linea con quella norma di semplicità e sarcasmo cui la pellicola sembra seguire, elementi essenziali per rendere tutto il meno possibile pedante, e accessibile a chi poco avvezzo di finanza. Proprio in questo aspetto sembra individuare il dramma Margin Call, nella quasi impossibilità di comprendere ciò che sta avvenendo nella nostra economia e che di fatto inibisce la persona nella presa di coscienza della propria situazione ma che allo stesso tempo, grottescamente, gela chi questo gioco lo dovrebbe manovrare.
La pellicola però mostra probabilmente meglio la faccia del capitalismo quando ad essere palesata è l’interazione tra i componenti dell’azienda, e non tanto nei discorsi iperbolicamente indifferenti a tutto, ma nei semplici contatti, dove un colpo sulla spalla mostra il totale distacco agli eventi umani, dato dalla concorrenzialità propria del meccanismo capitalistico, ma anche sintomo di un neo-machismo non più portato dalla propria virilità fisica ma determinato dal reddito e dalla posizione nella società.
La rigida gerarchia capitalistica, dove ad ogni capo segue sempre un altro capo, disegna, più che una struttura piramidale, una spirale tanto vorticosa quanto buffa che verte sempre più verso il basso dell’animo umano, e non verso l’alto come la semplice logica delle cose ci dovrebbe portare a pensare.