Il ragazzo con gli sci (rubati)
In questi ultimi anni vediamo come in certo cinema d’autore, soprattutto d’oltralpe, siano sempre più le azioni a descrivere i personaggi. Proprio così inizia Sister, pellicola di Ursula Meier, dove vediamo il giovane protagonista Simon intento a selezionare una serie di attrezzature sciistiche in una località turistica montana: ci vuole poco per scoprire che tutta l’oggettistica è in realtà la refurtiva della giornata, e che il giovane per “lavoro” ruba ai turisti tutto ciò che è lasciato incustodito per poi rivenderlo a prezzo ribassato.
Non c’è stupore nella messa in scena di tutto ciò, quel che assistiamo invece è la disinvolta presa di coscienza da parte del protagonista delle regole di mercato, meccanismo che non è penetrato solamente nel suo modo di approcciarsi con i coetanei, ma diviene regola anche all’interno del tessuto famigliare. E proprio la famiglia diventa il secondo nucleo narrativo-emotivo che guida la vicenda. Simon infatti vive con la sorella maggiore, incapace di organizzarsi la vita e priva del ben che minimo senso di responsabilità nei confronti del ragazzo, tanto da diventare ella stessa la prima a dipendere dagli affari del giovane. E ancora una volta la Meier sorprende, perché a esser accentuata non è la paradossalità del piccolo che si prende cura dell’adulto, o di come l’affettività tra i due protagonisti sia gestita solamente dal denaro, ma mostra un rapporto molto più simile a quello che intercorre tra datore di lavoro e dipendente, e che allo stesso tempo si tramuta, sovrapponendosi, in quello, poco credibile, di padre e figlia.
A essere mostrato, con dirompente semplicità, è l’assoggettamento della famiglia alle regole di mercato, nonché la penetrazione dell’economia all’interno del regno dell’intimo; l’immagine ricorrente del passaggio di denaro tra i vari personaggi diviene unico segno di relazione conosciuto, distopia capitalista che azzera i rapporti umani. E in questo contesto assume senso la continua ricerca di Simon di precarie figure paterne e materne all’interno del circolo di turisti che ogni giorno affollano la località sciistica.
Sister sistema un paio di svolte narrative non prevedibili, che efficacemente ribaltano la situazione senza per questo però assoggettare l’intera sceneggiatura ai singoli colpi di scena, che spronano lo spettatore a una nuova ricerca del senso delle azioni dei protagonisti. E se da più parti si è fatto riferimento, giustamente, ai Dardenne per l’impianto narrativo fortemente sociale che assume caratteri di favola morale, ciò che invece lo allontana dai due autori è il piano estetico, che nel rigoroso bilanciamento delle singole inquadrature, e nella profondità dell’immagine donata dall’uso dei chiari e dei scuri, ricorda molto di più la regia di Jessica Hauser. Sister è una pellicola che magari non potrà apparire assai originale, ma che nel suo connubio trova una via del tutto personale, tanto da non passare inosservata e giungendo proprio dove si era prefissata di arrivare.