Horror vacui
Siamo sempre stati affascinati da Tim Burton, personaggio borderline ma capace di dialogare col mainstream hollywoodiano fin dai fulgidi esordi. Ci siamo innamorati dei suoi antieroi emarginati, immersi in una solitudine non voluta ma vista come unica condizione possibile per difendere la propria diversità attaccata dal mondo “comune” o “normale”. E abbiamo pianto per il romanticismo e la malinconia di cui sono intrise le sue strazianti fiabe gotiche.
Nel corso di una carriera lunga quasi trent’anni, abbiamo anche avuto modo di capire – tristemente – che tutta la vena creativa del cineasta di culto si esauriva lì, nell’eterna riproposizione di interni familiari strampalati e caratteri bizzarri, ambientazioni tetre e bizzarrie creative. Nessuno fa film come Burton, e l’affermazione ha una duplice valenza: non esistono autori capaci di emulare lo stile del regista di Burbank, anche perché inizia a scarseggiare l’interesse verso un pattern visivo che ricicla eccessivamente se stesso, nell’impossibilità di essere migliore di ciò che è già stato. Dark Shadows è come la bella strega antagonista Angelique/Eva Green: esteticamente ineccepibile, raffinato e attraente; ma estremamente fragile, pronto a frantumarsi al primo refolo di vento come un vaso di porcellana palesando la sua natura effimera. Dietro all’opulenza di trucco, costumi e location c’è una tale penuria di idee e script da lasciarci il dubbio di aver perso qualche importante snodo narrativo lungo la via. Il lungo prologo di inizio film sciorina molteplici elementi potenzialmente utili: la gioventù di Barnabas Collins, che inizia una nuova vita in America nel 1752; la sua adolescenza da playboy ricco e superficiale, che seduce e abbandona la domestica Angelique andando incontro al di lei incantesimo che lo trasformerà in vampiro; il risveglio del Nostro nel 1972, dopo un sonno forzato di 200 anni, con tutte le conseguenze del caso. Inseguendo forse demoni troppo personali, Tim Burton crea personaggi fortemente caratterizzati (su tutti quelli femminili: l’adolescente licantropa Chloë Moretz e la psichiatra Helena Bonham Carter, oltre alla già citata Green) ma non gli concede un degno sviluppo, concentrando la propria attenzione su sketch più o meno ironici che frammentano la storia facendola piombare nella noia (questa sì cupa e disperata). Sarà pure una horror comedy, ma qua di orrorifico c’è solo la vacuità, la necessità di saturare il campo del visibile per nascondere e allontanare la totale mancanza di contenuto. “Deve immaginarci in tempi migliori”, dice la matriarca Elizabeth al primo incontro con il redivivo Barnabas. E sembra quasi che il messaggio sia in realtà rivolto a noi, spettatori memori di un talento poetico che non riuscendo a rinnovarsi s’è tramutato in patinato manierismo.
Dark Shadows [Id., USA 2012] REGIA Tim Burton.
CAST Johnny Depp, Eva Green, Michelle Pfeiffer, Chloë Moretz, Helena Bonham Carter.
SCENEGGIATURA Seth Grahame-Smith (tratta dall’omonima soap opera di Dan Curtis). FOTOGRAFIA Bruno Delbonnel. MUSICHE Danny Elfman.
Fantastico/Commedia, durata 113 minuti.