Lo ha già notato Paolo Mereghetti sulle colonne del “Corriere della Sera”. La vittoria, meritatissima, dei Taviani al David di Donatello, con il loro Cesare deve morire, dà di che pensare.
Il cinema italiano premia due signori di oltre ottant’anni, in grado di imporre un colpo di reni alla loro stessa filmografia, e di dare una lezione all’ormai incanutito “giovane cinema italiano”, che da anni rincorre le stesse formule e gli stessi mantra. Lo diciamo da anni: la nostra produzione è spaccata in vari tronconi. Il primo è il cinema popolare, e versa in uno stato comatoso (persino il modesto Gli infedeli, francese, mostra di conoscere e coltivare l’eredità della commedia all’italiana meglio di tutti i Miniero e Genovese di questi anni). Poi c’è il cinema medio-autoriale, quello di Ozpetek Muccino Soldini Luchetti ecc., che gestisce tra alti e bassi un’idea di riflessione sociale, storica e personale decisamente light; poi ci sono i maestri, da Bellocchio a Bertolucci, da Olmi ai Taviani che sorprendono per vivacità e capacità di rinnovarsi; quindi il cinema di ricerca, negletto e conosciuto solo dai cinefili radicali, con Pietro Marcello, Michelangelo Frammartino, i De Serio, sicuramente il più interessante e proficuo; infine gli autori che riassumono elementi di ciascun filone precedente, con una sintesi spesso folgorante, e questi sono sempre i soliti due, Garrone e Sorrentino, su cui inevitabilmente grava un peso insostenibile, dovendo rappresentare all’estero il futuro del cinema italiano che unisce autorialità e incassi.
Tra questi tronconi la comunicazione è bassissima, tanto è vero che non troverete mai Bentivoglio in un film di Vanzina, Boldi in uno di Giordana (solo Avati ha sdoganato varie star del panettone), Accorsi in un film di Pietro Marcello e così via. La televisione assorbe alcuni dei nominati, che ormai nemmeno fingono un vero interesse per la fiction nostrana e ammettono di farlo solo per i soldi (vedi Bentivoglio cuoco su Canale 5). Insomma, il David sarà anche un premio screditato ma continua ad apparire un perfetto specchio di ciò che accade alla nostra industria.