Sarai mondo, se munderai lo mondo. Gli sconfitti nella Storia
Il modo di dire “Armata Brancaleone” è stabilmente entrato nel nostro vocabolario, dove è usato per indicare un gruppo mal assortito, incapace, che fallisce i suoi obiettivi. Il traguardo, comune a pochi altri film, di inventare un neologismo ed entrare nel parlato della lingua italiana è un esempio di come il film del 1966 di Mario Monicelli sia diventato una pietra miliare nella storia del nostro cinema.
Appartenente al gruppo delle commedie all’italiana, le avventure di Brancaleone da Norcia e dei suoi seguaci sono uno dei frutti di quella stagione più vicini al comico puro e alla farsa, in un perfetto equilibrio tra gag visive e comicità di parola e con tempi comici infallibili. Comicità, come è stato scritto in più di una sede, allo stesso tempo fortemente popolare e raffinatissima a livello culturale, letterario e storico; non solo per il linguaggio inventato, un misto di latino classico, latino medievale, volgare italiano e dialetti regionali, che si ispira ad un arco di tempo che va dalla letteratura altomedievale fino al Calvino della Trilogia degli antenati (in particolare, Il cavaliere inesistente, altro capolavoro comico che ha molto in comune con il film di Monicelli), ma anche per la ricostruzione storica molto fedele e verosimile, sia come riferimenti generali, sia coma rappresentazione della vita quotidiana. Pur senza rinunciare a inevitabili stereotipi su quell’era storica e a mettere più di un riferimento alla contemporaneità, il film di Monicelli mette in scena quello che è forse il Medioevo (insieme ad un film diversissimo: Magnificat di Avati) più sincero e reale del cinema italiano.
L’Armata Brancaleone rimane, quindi, uno dei migliori e più genuini esempi di unione tra alto e basso, tra cultura popolare e cultura alta, tra affabulazione immediata e riferimenti nascosti e più meditativi. È questa probabilmente la principale chiave del successo ottenuto immediatamente e nei decenni dal film; non è certo però l’unico motivo. Abbiamo detto qualche riga fa che tra le commedie all’italiana L’Armata Brancaleone è una delle più vicine al comico puro; questo non significa che l’amarezza e le sfumature malinconiche e drammatiche tipiche di quel genere siano assenti; più sotterranee che altrove, come un fiume carsico scorrono lungo tutta la narrazione, per apparire in superficie in determinate scene. A lasciare la sensazione di un umorismo acre e amarognolo è soprattutto l’aurea di perenne sconfitta e fallimento che circonda i personaggi, a partire dallo spiantato cavaliere protagonista. Come ne I soliti ignoti (o come, in chiave un po’ diversa, qualche anno dopo in Amici miei e, con sfumature ancora differenti, negli anni Ottanta in Speriamo che sia femmina, senza contare i numerosi sconfitti “singoli” del suo cinema) il regista viareggino rappresenta un gruppo di persone ai margini della società e vittime del proprio tempo, i cui tentativi di salire sul carro dei vincitori, e godere dei nuovi valori, degli status symbol e dei miraggi di felicità e successo, risultano sempre vani e inutili. Ne I soliti ignoti, poco prima di fare il buco nel muro sbagliato, il gruppo di ladri sogna gli oggetti simbolo della ricchezza esibita durante il boom economico; qui l’orizzonte è fatto di feudi, di onorificenze, di castelli e di terreni da coltivare, ma il senso che muove i protagonisti, e le loro condizioni di partenza, non cambiano. Insomma, a fine anni Cinquanta come nell’XI secolo, la Storia può mutare la buccia delle cose, ma il succo e la sostanza rimangono le stesse; Monicelli ci ricorda che il treno ha pochi posti e ci sarà sempre chi non riuscirà a salirci, nonostante ogni suo tentativo.
L’Armata Brancaleone [Italia 1966] REGIA Mario Monicelli.
CAST Vittorio Gassman, Catherine Spaak, Gian Maria Volonté, Barbara Steele, Folco Lulli, Enrico Maria Salerno.
SCENEGGIATURA Age e Scarpelli, Mario Monicelli. FOTOGRAFIA Carlo Di Palma. MUSICHE Carlo Rustichelli.
Commedia, durata 120 minuti.