L’uomo con la macchina da presa
Una stella sulla “Walk of Fame” grazie ad un centinaio di film sulle spalle, alcuni in veste di attore ma la maggior parte in quanto regista: per quanto se ne dica, senza dubbio Frank Borzage ha portato un contributo decisamente degno di nota alla storia del cinema americano e mondiale.
Per rendergli omaggio, la casa di distribuzione Ermitage ha confezionato un cofanetto che raccoglie i quattro titoli a conclusione del suo percorso durante gli anni ’20, prima di aprirsi alla maturità e al successo dei ’30 e molto prima del calo avuto nei ’40. Procedendo cronologicamente a ritroso ritroviamo Il fiume del 1929, opera incompleta ma restaurata usando immagini statiche e sottotitoli chiarificatori, e La stella della fortuna dello stesso anno, insieme a L’angelo della strada (1928) e Settimo cielo (1927) grazie al quale conquista l’oscar per la miglior regia. Storie tutte dedicate ad una coppia di amanti, felici nel loro mondo sereno che purtroppo non riesce ad impedire alla crudele realtà di irrompere prepotente nel loro idillio. Sotto forma di incidenti, distanze imposte, la guerra ingrata, l’amore dei giovani viene messo a dura prova prima della felice risoluzione forte di valori saldi come l’onestà, la fiducia, il rispetto e tanta pazienza. Altro fattore di congiunzione tra i film, questa volta escludendo dal gruppo il più recente incompleto, sta nella scelta del cast: i due personaggi protagonisti sono sempre portati sullo schermo dal broncio impertinente di Janet Gaynor, una bambolina minuta con un’infinita forza d’animo, affiancata da Charles Farrell, un gigante nei suoi confronti persino da seduto, giovanotto onesto e semplice.
È evidente, e in molti già lo hanno osservato, l’influenza avuta dal primo film americano di Murnau, Aurora (1927), che insieme ai due titoli più datati del cofanetto costituisce un’ipotetica triade esemplare del melodramma anni ’20. Quello che distingue i due cineasti risiede nella scelta del tono da dare alle vicende narrate: se Murnau preferisce un’atmosfera fosca, altamente concentrata sul dramma interiore di un uomo dilaniato dal potere dell’amante tanto da tentare di uccidere la moglie, i toni di Borzage sono più rilassati, tratti ironici mescolati a quelli patetici. Visivamente debitore dello stile inconfondibile del mentore tedesco, gioca anche lui con l’espressività di occhi profondi senza però essere angoscianti, che danno ritmo alla storia insieme alla gestualità dell’intero corpo della sua musa e attrice prediletta, capace di incantare con lo sguardo e diventare soggetto per un’icona sacra, oppure esprimere stizza insieme a inconfessato divertimento quando le vengono lavati i capelli con uova fresche.
Tra tutte le immagini che si potrebbero estrapolare, sicuramente il simbolo più forte del cinema di Borzage sta in Settimo cielo, dove i due amanti si fermano ad una data ora di ogni giorno per quattro anni e si ricordano la loro felicità. Un delirio di tenerezze esaltato dalla distanza fisica, i doveri della società che minano la sfera privata, restituendo un ritratto completo e dolce di cosa significhi amare, superando tutto il resto.