Il successo clamoroso di The Avengers – oltre dieci milioni in pochi giorni – ha sorpreso persino chi pronosticava faville per il gruppo dei vendicatori finalmente riunito. Ciò che davvero colpisce è il trionfo dei supereroi in Italia, terra notoriamente freddina nei confronti dei cinefumetti. Improvvisa voglia di collettività? Adeguamento supino al battage pubblicitario? Tutto può essere ma è forse qualcos’altro che si sta muovendo.
Dopo anni in cui, per la prima volta da tanto tempo, il prodotto Usa ha segnato il passo, gettando nello sconforto i distributori e gli esercenti (ripagati in parte dal successo delle commedie italiane), probabilmente il trend si sta invertendo.Chi scrive ha più volte sostenuto, anche su Mediacritica, che il tramonto dei grandi incassi hollywoodiani in Italia non andava di per sé salutato con applausi. Se ignoriamo il Batman di Nolan e troviamo in testa agli incassi Bisio, non so che cosa ci sia da festeggiare, se non avvolgendosi ottusamente in una bandiera tricolore. La verità è un’altra: l’Italia ha vissuto per anni in una campana di plastica simile a quella che “tappa” Springfield in Simpsons – The Movie. Le vicende del caimano e tutto il tragicomico show di cui ancora oggi vediamo il gorgo mefitico (Trote e Ruby in testa), hanno risucchiato tutti, sostenitori e oppositori, in un paese virtuale, chiuso all’esterno, delirante e ossessivo. Il ripiegamento dei consumi verso la commedia nostrana rassicurante va spiegato anche come disinteresse nei confronti del mondo esterno. Paradossalmente il crollo hollywoodiano in Italia e la catastrofe del cinema d’essai internazionale hanno avuto la stessa origine. Un paese ostaggio di se stesso.
La verità è che se il cinema americano riprendesse quota, sarebbe un bene per tutti. Non c’è un’alternativa valida, tanto meno la produzione italiana che può realizzare pochi titoli per stagione. Rimangono ovviamente due grandi problemi. Il primo è l’assenza del prodotto medio Usa. I thriller con Bruce Willis, i gialli con Richard Gere, le commedie con Meg Ryan, i mélo alla Voglia di tenerezza, tutti quegli incassi sicuri che oggi, pur non mancando un tipo di produzione simile, sono spariti dalle classifiche. Il secondo è il cinema d’autore, in crisi nera, legato a un consumo spettatoriale anziano. Le poche sale delle grandi città ancora rimaste devono correre ai ripari e diventare spazi culturali più ampi, ospitando rassegne indipendenti, serate monografiche, accordandosi con le associazioni territoriali (penso all’Odeon di Bologna e al rapporto capillare con Biografilm festival e Doc.It), e concentrando la distribuzione regolare nei giorni di maggiore afflusso. Tutto ciò costa fatica, organizzazione, costi di personale. Ma altra strada non c’è.