Cap(it)olino alleniano
Dopo poco più di quattro mesi dal precedente Midnight in Paris, ecco il nuovo lavoro di Woody Allen, ennesima tappa del suo peregrinare tra le principali città europee, avviato con la Londra di Match Point e giunto ora alla capitale italiana.
Tale rapidità di produzione non può che lasciare stupiti, vista l’età dell’autore, e, guardando ai risultati altalenanti, anche perplessi. È evidente che questa creatività quasi compulsiva sia mossa dalla duplice necessità di rispondere attivamente a una vecchiaia biologica che naturalmente avanza così come a un un mercato sempre più esigente, cercando, finché possibile, di mantenersi sul(la cresta del)l’onda. Ma ciò non giustifica l’affrettato e superficiale To Rome with Love.
Nato come ideale dichiarazione d’amore del regista verso la città eterna e i suoi abitanti attraverso l’aggiornamento di alcune novelle boccacciesche, il film è diventato più che l’iniziale e provvisorio Bop Decameron, un “blob calderon” di stereotipi tutti esteri legati al Bel Paese, una nazione sì allo sfascio, economico come politico, etico e culturale, ma comunque non meritevole di tali considerazioni.
La debole struttura narrativa su cui si sviluppano le quattro storie parallele del film pare un confuso quanto mal riuscito calco di altre commedie dell’autore newyorkese (Mariti e mogli, Celebrity o Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni. Le vicende dei protagonisti si alternano senza particolare continuità, facendosi episodi a sé stanti, tenuti insieme solo dallo sfondo urbano della stessa metropoli. E se l’ambientazione – sfruttata stavolta per una funzione puramente scenografica, con tanto di cieli tersi e secolari architetture baciate dal sole estivo – resta il pretesto per un gioco artistico con cui Allen da tempo si diletta, è soprattutto l’immagine offerta dei romani/italiani che lascia attoniti. Si è lontani dalla Roma felliniana a cui l’autore ha affermato di essersi ispirato: più che popolare e papalina, la sua è una Roma “popolina”, fatta di giovani comunisti idealisti, tenori “da doccia”, mogli gelose da operetta, attori latin lovers, bellezze mediterranee, ladruncoli seduttori, ricchi puttanieri, fedifraghe coppie frustratamente religiose e ometti medi senza particolari qualità. Così si arriva zoppicando al gran finale, con tanto di banda musicale a suonare Nel blu dipinto di blu sulla scalinata di Piazza di Spagna in una tiepida notte romana, tanto dolce a occhi stranieri quanto amara a quelli di chi è in sala.