14° Far East Film Festival, 20 – 28 aprile 2012, Udine
To be continued?
Se c’è una cosa che non si può proprio rimproverare agli organizzatori del Far East Film Festival è la sincerità, la continua ricerca di contatto e schiettezza col pubblico.
Sia in conferenza stampa che all’inaugurazione della prima serata di manifestazione, venerdì 20, Sabrina Baracetti e il suo staff hanno parlato chiaramente di crisi. Le problematiche partono dalla difficoltà nel reperimento dei fondi regionali, e portano dritti all’idea stessa di “kermesse cinematografica” e al suo concept. A chi, a cosa serve il Feff? Secondo la politica, a poco o niente; anzi, non solo non avvicina i turisti a Udine, ma distoglie attenzioni ed energie da altri eventi più “autoctoni”. L’accorato appello del Far East e delle sue maestranze prova coraggiosamente a ribaltare la questione, facendosi scudo dietro all’idea – sacrosanta – di cultura: il Far East serve, eccome. In quattordici anni di vita ha palesato un mondo che prima non c’era, creato una connessione ora indelebile con un universo (artistico e non) che altrimenti sarebbe rimasto sconosciuto. Si può obiettare che di festival sul cinema orientale ce n’è anche a Rotterdam, a Londra e a Barcellona. Ma Udine è stata la prima, con la mitologica edizione numero zero dell’Hong Kong Film Festival, a lanciarsi senza paracadute e a diventare in brevissimo fenomeno di massa. Lunga vita al Re, allora? Non proprio: se lo zoccolo duro degli aficionados è sempiternamente conquistato, la lotta riguarda principalmente la necessità irrinunciabile del rinnovamento. Per un festival di caratura e copertura internazionale (come Venezia e Berlino, ad esempio) arrivare all’edizione numero quattordici non è che un inizio, ma per una proposta specialistica come quella offerta dal Far East è un miracolo. Un miracolo che si rinnova di anno in anno, cercando ostinatamente di non ritorcesi su se stesso. La sfilata dei cosplay, i corsi di cucina orientale, le serate musicali con i dj nipponici: tutta la città si smobilita, e si dibatte per sopravvivere. La stessa selezione dei film in gara si fa mutevole di volta in volta, e mai come in quest’annata una prima fugace visione del programma lo dimostra: al bando gli horror, dopo essere stati uno dei fiori all’occhiello della competizione; e ampio spazio alle tre cinematografie di più ampio richiamo (Corea del Sud-Giappone-Hong Kong, 31 film), a scapito di altre visioni più sperimentali e “rischiose” (Tailandia e Filippine, 3 film). Al solito, il riferimento “ufficiale” è alle annate più o meno ricche delle varie nazioni, ma fra le righe emerge evidente la volontà di farsi amare da una platea più ampia possibile. Dopo le prime tre giornate la missione può ampiamente dirsi compiuta, visto l’afflusso di spettatori. E questo nonostante la qualità media delle opere proposte fosse tutt’altro che eccelsa. E la cultura di cui sopra? Pazientemente, gli aficionados aspettano.
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