B:A=A:B. Il cinema di Roger Corman
Roger Corman, compiuti 86 anni, arriva in Italia in occasione delle retrospettive a lui dedicate dalle Cineteche di Torino, Bologna e Roma. Martedì, nel capoluogo emiliano, dopo il documentario Corman’s World: Exploits of a Hollywood Rebel, il regista è stato interlocutore principale di un lungo incontro tenutosi in sala.
Quello noto come “il Re del B-Movie”, nonostante l’appellativo contenga un che di negativo, di discriminatorio rispetto ai riconosciuti auteurs, si dimostra una persona coerente con le sue scelte professionali, orgoglioso del proprio lavoro (quasi 500 titoli tra film diretti e prodotti) e soprattutto del modo in cui l’ha fatto.
Sono tanti gli aneddoti legati alle sue pellicole, girate quasi tutte con budget irrisori e in tempi inimmaginabili (appena due giorni per La piccola bottega degli orrori). Ma ciò che più sorprende è l’inventiva con cui – sin dagli anni Cinquanta – tali limiti sono trasformati in punti di forza: gli escamotage narrativi (lunghi dialoghi riassuntivi, furbi effetti visivi, rumori fuoricampo a creare suspense) sono sfruttati per un prodotto nuovo e originale. È il forte tratto artigianale a caratterizzare il cinema di Corman; non però un artigianato posticcio, un prodotto ingenuo e mediocre come spesso quello di serie B: “noi siamo artigiani e cerchiamo di fare del nostro meglio”. E in effetti è giocando proprio sulle limitazioni materiali che il regista riprende gli elementi dell’immaginario coevo, estremizzandoli e rielaborandoli, in un uso apparentemente tradizionale del genere di riferimento che però mostra evidenti cenni di rinnovamento al suo interno, ponendo così sé e il proprio lavoro in relazione con la pop-art warholiana e come precursore del cinema post-moderno.
L’attività di produttore di Corman non è da meno. Grazie alla sua indipendente New World Pictures, schiere di emergenti come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Monte Hellman e Jonathan Demme, hanno avviato la propria carriera, affermandosi poi a loro volta con il beneplacito di un maestro “orgoglioso di essere superato dai propri ‘diplomati’”. Altrettanto significativo è il suo ruolo di distributore americano, dagli anni Settanta, di importanti registi europei come François Truffaut, Akira Kurosawa, Federico Fellini e Ingmar Bergman: “ho sempre amato il cinema d’autore per affinità e sensibilità artistica. Amavo questi film e volevo che girassero anche in America”. Un interesse curioso, vista la produzione notevolmente diversa di Corman; ma in fondo neanche troppo, se si guarda al suo come a un cinema sì immediato e – apparentemente – poco intellettuale, ma mosso dal “grande amore per i film e le emozioni che [da sempre] mi suscitano sullo schermo”.
Un amore da tempo però non più corrisposto, causa i grandi mutamenti subiti dal mezzo cinematografico dagli anni Ottanta, con le grandi produzioni basate più “sugli effetti speciali che sulla storia da raccontare”, centro da sempre del suo fare cinema, mirante a un pubblico attivo che condivida in sala, e non singolarmente a casa, le emozioni suscitate dalle immagini sullo schermo. “Internet può aiutare a far uscire certi film dalle nicchie di mercato”, ma non a riscoprire la concezione di spettacolo collettivo che era la sala cinematografica.
Nonostante questo, Corman non ha perso la sua passione per il mestiere: “sono convinto che il digitale sia il futuro del cinema. Voglio sperimentare le nuove tecnologie, ma sempre a modo mio”. E pare stia pensando di dirigere un altro horror…