Lolita, luce della mia vita
Antonio Berlingheri è un ingegnere, sicuro di sé, amato dalle donne, apprezzato dai colleghi, “sempre sulla breccia, non perde un colpo”. Il quarantenne cambia profondamente dopo l’incontro con la lolita Francesca, una deliziosa Catherine Spaak agli esordi.
Per lui, che ha una voglia matta di lei, l’adolescente diventa malattia, ossessione: questo desiderio passionale e carnale che lo svilisce facendolo diventare spesso buffone di corte è alla base di La voglia matta, tratto dal romanzo Una ragazza di nome Francesca di Enrico La Stella. “Mai mettere la donna sul piano sentimentale, sempre sul piano orizzontale”, questo è il motto del “sensibilissimo” e “modernissimo” Antonio quando parla della Donna, quando, sicuro di averle tutte in pugno, si mostra grande conoscitore del mondo femminile. Questo pensa l’uomo fino a quando non perde la testa per la bella ninfetta, che gioca col corteggiatore di turno. Francesca, caschetto biondo e corpo esile, seduce suadente muovendosi intorno all’ingegnere, beffeggiandolo con le amiche. Lei, sfacciata, ribelle, figlia della modernità e del twist, è così lontana, così distante dal mondo del Casanova giacca e cravatta da squassarlo come un terremoto. Antonio perde la padronanza di sé e pende dalle labbra della ragazza – nonostante la sua coscienza cerchi di riportarlo più volte alla dura realtà: “si stanno burlando di te” – dimenticandosi di avere un figlio da raggiungere. Il personaggio di Tognazzi viene immerso negli anni ’60 senza anestesia (dischi, motori, pacchetti di Marlboro, James Dean entrano prepotentemente nella sua vita), sballottato tra il desiderio di avere Francesca e quello di non perdere la faccia di fronte agli amici di lei che lui mal sopporta, perché volgari, privi di grazia ed eleganza. Se l’ingegnere nel mondo degli adulti è un uomo arrivato, professionalmente stimato, un conquistatore impenitente, nell’incontro/scontro con la nuova generazione soccombe. Sia nella costruzione di un’epoca che in quella dei personaggi recita un ruolo importante la musica, contrappunto sentimentale alle emozioni dei protagonisti: Salce utilizza le classiche “canzonette” (Brigitte Bardot, Cha cha cha dell’impiccato) rappresentative degli anni spensierati e pieni di vita della gioventù ma anche e soprattutto dell’Italia del boom economico che inseguono scherzi, risate, goliardate, mentre utilizza motivi più malinconici, come ad esempio Sassi, cantata da Gino Paoli, che rappresentano il dolore, lo struggimento che si mescola al riso in tutta la commedia all’italiana. La voglia matta di Salce è quella di raccontare un’epoca, una generazione, attraverso una commedia agrodolce, in cui i protagonisti sono perfetti, la musica che accompagna lo spettatore pizzica le note giuste e, mentre riecheggia “Sassi che il mare ha consumato/sono le parole d’amore per te/ogni parola che diciamo è stata detta mille volte/ogni attimo che viviamo è stato vissuto mille volte”, noi, un po’ spaesati come Antonio, completamente in balia di lei ma un po’ ammaliatori, alla fine del film non possiamo far altro che dire: “che rabbia, l’estate è finita”.
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