Se alla fine resta Sancho
Presentato nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia del 2006 arriva in sala, grazie alla coraggiosa Distribuzione Indipendente, l’esordio cinematografico di Mimmo Paladino (pittore e scultore, uno dei più importanti artisti italiani contemporanei).
Paladino si confronta con il capolavoro di Cervantes e realizza un’opera complessa e affascinante lontana dal cinema narrativo più tradizionale, volutamente ostica per lo spettatore, invitato però, senza snobismi, alla sfida di lasciarsi coinvolgere da immagini simboliche, paesaggi visionari, riflessioni metafisiche. Il cavaliere della Mancha ha le fattezze di Peppe Servillo, Lucio Dalla è il fido scudiero Sancho, e poi ecco le “maschere” di Edoardo Sanguineti (il Poeta, e chi se no?) e Alessandro Bergonzoni, inquietante Mago Festone. Paladino sceglie i volti e lavora con cura su fotografia e scenografia. La parola è ridotta a suono, scaturisce a fiotti incomprensibili nelle astratte assonanze del Mago, è gutturale gorgoglio nello scudiero Dalla, masticata ossessivamente alla pari del cibo, rantolo indistinto nei suoi sogni popolati da prosciutti e soppressate. Chisciotte, pedinato da Sancho, la sua irrinunciabile metà umana e carnale, tenta di elevarsi dalla desolante mediocrità della realtà decadente che lo circonda. Eccolo errare sfinito in scenari di straniante bellezza dominati da cieli pieni di nuvole: “Che messaggio ci portano?”, non è possibile conoscere la risposta. Tra libri che bruciano e parole ormai prive di senso, non resta all’hidalgo idealista che la follia: indossata una vecchia armatura, spada in pugno, si trova però ad affrontare non più mulini a vento, ma pale eoliche enormi e mostruose. Servillo è un Don Chisciotte rassegnato e dolente, novello Antonius Block di nero vestito, si trova a guardare negli occhi la Morte: inutile però sfidarla a scacchi e rimandare il proprio destino, la nera signora vince sempre. Paladino lascia campo libero all’improvvisazione dei suoi attori e si concentra sulla luce che riempie, nasconde, esalta l’irregolare geometria di inquadrature come dipinti animati, di grande impatto visivo. L’artifizio nella recitazione è sempre volutamente evidente, “gli attori non sono persone vere, stanno recitando” proclama Sancho. Il solo Chisciotte non “recita”, ed infatti sarà sconfitto. L’ultima inquadratura è per Lucio Dalla, un primo piano intenso in cui silenzioso ci guarda: “in un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre” sopravvivono gli uomini con le loro debolezze, non è più il tempo di visionari ed eroici cavalieri. E ci scopriamo un po’ più tristi.
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