La grande bugia del rock
Dopo l’esordio un po’ stentato di L’estate del mio primo bacio, Carlo Virzì torna dietro la macchina da presa con I più grandi di tutti riscoprendosi compositore (sue, di Dario e Rolando Cappanera le musiche del film), oltre che autore di buona caratura.
In una Livorno formato famiglia, Loris, ex batterista della rock band “Pluto”, riceve una mail da parte di Ludovico Reviglio, critico musicale della rivista “Sgt. Pepper” e fan sfegatato del gruppo, nella quale gli viene proposto di riunire i vecchi componenti, ormai immersi in vite tutt’altro che ribelli, per realizzare un documentario di levatura nazionale.
Parte così, con una mail inviata a quello che noi crediamo essere solo un giovane padre non ancora consapevole del suo ruolo, il racconto del riscatto di quattro ex ragazzi e della loro musica, attraverso un viaggio di (ri)formazione che dell’epicità del rock ha ben poco. Dove sono le groupies? Boh. Chissà quanti aneddoti avrete sulle vostre serate. Non ricordo. Vi ricordate di quella volta in cui…? Veramente no. Ludovico cerca disperatamente di recuperare il ricordo di una fascinazione attraverso queste e altre domande, ricevendo come contropartita la dura realtà delle cose contenuta nelle risposte fumose e balbettanti della band. La leggenda, anche se di provincia, evapora lentamente, riscaldata dal fuoco di una passione mal riposta che tutto brucia, nel bene e nel male. Il percorso che porta i quattro musicisti a ritrovarsi, a dieci anni dallo scioglimento, si snoda nel più classico dei modi, attraverso le loro rispettive nuove vite fatte di impeccabili fidanzati borghesi (nel caso della bassista Sabrina/Claudia Pandolfi), lavori logoranti (per il chitarrista Rino/Dario Cappanera) o inconcludenti (per il cantante Mao/Marco Cocci) e i doveri della vita famigliare (nel caso di Loris/Alessandro Roja). Ma se il presente sembra chiudersi attorno a loro, impedendo allo sguardo di lanciarsi al di là del contingente, ecco che il passato, evocato da Ludovico, spinge in tutti i modi affinché quel poco di magia che si era creata ritorni a illuminare le loro vite, anche solo per una serata. Fa pensare il fatto che ad accendere questa miccia sia un mitomane, quale Ludovico è, ma in verità niente può meglio descrivere la condizione della musica “undeground” toscana ed italiana degli anni duemila. Virzì la racconta con onestà e ironia, dimostrando che anche lui, da buon musicista, sa che il sogno di vivere della propria musica, in Italia, troppe volte collima con la finzione, non solo cinematografica.