Una storia, sempre la stessa
Sembra che l’oramai assodata pratica del reboot, ovvero l’azzeramento di narrazioni già note, continui ad essere un facile escamotage per poter sfruttare liberamente franchising di sicuro appeal.
È il caso di Biancaneve, un film che lavora assiduamente con il riavvio della nota fiaba di Grimm (e con l’ancor più noto prodotto Disney) nel tentativo di riproporre un’ennesima variazione sul tema.
Se la Regina viene mostrata quale opulento despota e causa primaria della crisi economica che attanaglia il regno, i nani (ai quali finalmente vengono cambiati i nomi) sorta di nucleo guerrigliero zapatista e Biancaneve (detta Neve) guida rivoluzionaria, il Principe emerge come oggetto conteso del desiderio, inetto, succube, tanto da essere lui a venir colpito da un incantesimo (diventa, a tutti gli effetti, il cagnolino della regina). Un ribaltamento di valori che funge da stanca protesta contro lo stereotipo della fanciulla indifesa caratteristica della fiaba originale.
Questo ritrovato femminismo risulta tanto annoiato quanto il tentativo, tutto postmoderno, di riflettere sull’essenza stessa del racconto fiabesco. Tra citazioni, divertissement e “spiegoni” vari, il film in questione gioca la carta facile del metaracconto, una carta oramai tanto sfruttata da divenire prevedibile in tutte le sue sfaccettature, il tutto a scapito della narrazione che risulta, a tratti, debole e ingiustificata (alcune, seppure visionarie, sequenze ad esempio paiono motivate solo dal ricorso alla magia nera) .
Un vero peccato perché in Biancaneve gli elementi di interesse non mancano: uno su tutti il personaggio della Regina, interpretata da un’attrice, Julia Roberts, nel pieno dell’età dello sfiorimento; un personaggio che rispecchia alla perfezione la figura del folle, folle per l’invidia nei confronti di chi è ancora nel fiore degli anni, di una follia che emerge in modo estremamente calzante nello sfarzo barocco delle scenografie del palazzo reale e negli umilianti travestimenti a cui vengono sottoposti, attoniti, il Principe e gli altri invitati ai ricevimenti della corte.
La riuscita di alcuni elementi riguardanti la messa in scena e la caratterizzazione dei personaggi non bastano, tuttavia, a esentare Biancaneve da una sorta di obsolescenza di fondo, una fiacchezza che emerge quando si percorrono strade già battute, strategie assodate, giochi metanarrativi che lasciano il tempo che trovano. Che bisogno c’era, dunque, di realizzare l’ennesimo emulo di Shrek?