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Il non-esserci del cinema

giovedì 5 Aprile, 2012 | di Roy Menarini
Il non-esserci del cinema
Editoriale
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Dopo aver riflettuto a lungo sull’editoriale di questa settimana, chi scrive si è imbattuto su www.freakout-online.com in una bella intervista a Enrico Ghezzi. E allora è parso giusto “cedere” lo spazio a tre domande e tre risposte sulle quali trovarsi magnificamente (e ossessivamente) d’accordo.

Che idea ha del trionfo di “The Artist” agli Oscar?
Sono abbastanza tipici e ripetuti i comportamenti dell’Academy, all’inizio segnala anche film molto sorprendenti e quest’anno non è un caso che abbia avuto delle nomitation in categorie importanti il film di Malick. Dopodiché, al momento della premiazione, scatta la logica più salvaguardante l’esistenza del cinema, per cui si va su film di presa più larga e immediata. Da notare che questo discorso vale anche su film di diversissimo peso commerciale, così come è accaduto tra The Hurt Locker di Kathryn Bigelow e Avatar di James Cameron : sembrerebbe che ad aver vinto sia il film più d’autore, mentre, a ben vedere, non lo era. Era molto più d’autore Avatar ed infatti, in questo senso, è stato punito e invece ha vinto la Bigelow, pur sempre brava a creare congegni piacevolissimi; sembra una logica opposta, invece è sempre la stessa. Per citare casi meno recenti, The Elephant Man di David Lynch raccolse otto nomination: non vinse nulla.enrico_ghezzi-ok
La distribuzione del cinema su Internet svela, ancora una volta, che la ritualità della sala è secondaria o comunque non fa parte dell’essenza del cinema?
Credo che il cinema non abbia essenza, è senza essenza … direi, proseguendo il gioco di parole, che l’essenza, l’essence (carburante in francese, n.d.r.), la benzina insomma gli è data proprio dal fatto di non essere. Più che la mancanza della sala, è molto più pericoloso per il cinema che si contrabbandino come film delle cose che sono dei cloni dickiani da fantascienza dei film. Faccio un esempio che è mal tollerato perché molti hanno amato questo film e sono sicuro che lo hanno amato perché è una storia appassionante: Shame di Steve McQueen. Così come il precedente dello stesso regista (Hunger, n.d.r.), si tratta di un tributo alla forza del cinema, usata per farne dei film; sono però un’installazione non reale, ma mentale … l’atteggiamento è lo stesso di una installazione, è rivolto a un concetto di spettacolo e di cinema, un falso concettuale. È questo il rischio maggiore del cinema di oggi: da una parte la museificazione che è sempre a-artistica, cioè considerarla un’arte è museificarla, dall’altra è considerarlo un’arte e de-artisticizzarla per farne un sorta di super-manufatto. Trovo più a macchina, più pericolosamente fabbricato un film come Shame che non un film come Trasformers o un blockbuster medio.
È vero che le sceneggiature non ti piacciono?
No. Anche se quelle di Tarantino, grandissimo scrittore di sceneggiature, le leggo e le amo. Devo dire che una sceneggiatura deve essere straordinariamente bella per essere letta, altrimenti è una specie di lettera morta, un osso di seppia, è come vedere già lo scheletro del film che non c’è ancora. Uno dei motivi per cui adoro l’ultimo lavoro di Malick è che è l’unico grande regista di ampiezza hollywoodiana che va sempre più contro l’idea stessa di sceneggiatura e lui è uno script doctor quindi conosce l’importanza della sceneggiatura. Per Tree Of Life ha presentato due pagine, e d’accordo che lo ha ottenuto perché è lui…

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