La storia nera
La paura è l’unica cosa che ci rende deboli. E’ il sentimento che decide di farci rinunciare ai diritti più basilari pur di avere la sicurezza, pur di sapere i nostri cari al sicuro.
In un periodo storico di lotte e scontri politici, ma anche di consapevolezza estrema, un momento in cui gli operai diventavano finalmente consci del loro potere – lavorativo e politico – scendendo in piazza per i loro diritti, la paura è ciò che riesce a ristabilire quell’ordine che la politica desidera, l’ordine che c’è in un gregge di pecore. Senza artefici e con molta delicatezza, Marco Tullio Giordana racconta questo. Racconta le bombe sui treni che non uccidono nessuno, e la bomba in piazza Fontana che invece provoca una strage, diciotto persone spazzate via in pochi secondi. Dietro la strage, però, ci sono molte altre cose: ci sono piste nere (i neonazisti veneti sembrano i veri colpevoli), giustizia non fatta, insabbiamenti e capri espiatori. Due per la precisione, due uomini di opposta fazione che vengono abbandonati dallo stato – il commissario Calabresi e l’anarchico Pinelli “caduto” dalla finestra dell’ufficio della questura dove era posto sotto interrogatorio. Uno anarchico e uno che crede nello stato, nella giustizia, ma che viene pugnalato dai suoi stessi valori, sacrificati in nome di una finta quiete, seguendo la concezione che un popolo che non conosce non sa contro chi combattere, un popolo che ha paura sacrifica i suoi diritti in nome della sicurezza, come nella storia recente il post 11 settembre ha palesato. La scelta di non mostrare, di non indugiare con la macchina da presa davanti a queste due morti eccellenti, sembra un atto d’amore, il regista riporta un po’ di dignità a due personaggi che la nostra Storia di sotterfugi e oscuri poteri ha deciso di eliminare. Non vediamo Pinelli cadere dalla finestra, non vediamo l’omicidio di Calabresi, anzi vediamo la moglie ignara che si occupa della sua quotidianità, ignara – come tutti gli italiani in quell’epoca – dei marchingegni della politica, di quanto poco valga una vita paragonata alla sottomissione di un paese.