Una verità negata: “Lo so ma, non ho le prove”
“A mantenere un contegno sono rimaste solo le cose e la natura”, così Aldo Moro descrive l’Italia dell’Autunno caldo, così, con parole misurate e schiette, il “mimetico” Fabrizio Gifuni interpreta l’allora Ministro degli esteri Aldo Moro.
Milano, 12 dicembre 1969. Un’esplosione in Piazza Fontana, sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura: 17 morti, 88 feriti. Un colpevole da trovare. Questo racconta Romanzo di una strage (ispirato al libro di Paolo Cucchiarelli Il segreto di Piazza Fontana) – titolo preso in prestito da Il romanzo delle stragi di Pierpaolo Pasolini, in Scritti corsari, del 1975 -, l’ultimo film di Marco Tullio Giordana, scritto insieme a Rulli e Petraglia. La Storia è una materia viva, vibrante, animata, che aspetta, chiede e richiede di essere raccontata, sviscerata, senza pregiudizi né vergogne, ma solo grazie a menti lucide e intense. È questo il caso della strage di Piazza Fontana, di personaggi, anzi Persone realmente vissute, vibranti anch’esse, piene di voglia di uscire dai libri, scrollarsi di dosso la polvere di questi quarant’anni e mostrarsi, dimostrarsi nella loro “innocenza”: il commissario Luigi Calabresi, un misurato Valerio Mastandrea, l’anarchico Giuseppe Pinelli, un sanguigno Pierfrancesco Favino e Aldo Moro, un perfetto Fabrizio Gifuni. Calabresi è solo, solitudine che da questo momento l’accompagnerà fino alla morte, lontano dalla stanza in cui si tenta l’impossibile, far confessare qualcosa a chi non l’ha commesso. Un tonfo. Un “anarchico distratto cade(re) giù dalle finestre”. L’incubo di Calabresi, ossessione che lo perseguiterà fino alla sua uccisione, inizia da qui. L’uomo, continua a porsi delle domande, sapendo già la risposta: la mano dura della Legge è impazzita, si è staccata dal Corpo e, cieca, si è abbattuta sul Capro espiatorio, gettandolo dalla finestra. Sull’asfalto giace Pinelli, anarchico, non violento, convinto servitore della sua ideologia che, in quell’interrogatorio, accerchiato dall’“autorità”, schiacciato da prove mal costruite, da indizi inconsistenti, dall’ottusità del potere, colpevole di essere il Colpevole perfetto, continua a ripetere la sua versione dei fatti, a urlare la sua innocenza, pur sapendo di giocare una partita pericolosa in cui l’avversario bara; non è come tutte le altre volte, non si tratta più di manifestazioni e volantini. Di diversa consistenza è il personaggio di Moro, retto, onesto – il suo essere “morale” rende tutto intorno a lui ancora più corrotto, malsano e indignus -, che si stacca dalla materialità del quotidiano, elevandosi nella sfera della pura Utopia, “uomo d’onore”, costretto a fermarsi là dove arriva la Ragion di Stato. Romanzo di una stage è un film asciutto, misurato, ma pieno di vita, verità e onestà intellettuale. Giordana ha vissuto quegli anni, era in Piazza Fontana, ha sentito l’odore acre dell’esplosione, ha vissuto la “cattiveria” della Storia e della giustizia: Pinelli era il colpevole suicida, Calabresi il poliziotto assassino. Lo spettatore, uscito dalla sala è un po’ più consapevole del suo passato e del suo presente, coinvolto in quell’Autunno caldo e in quel disvelamento di misteri – molte le assonanze con avvenimenti recenti – la cui omertà è una ferita aperta per il nostro paese.