La prevedibile inutilità di un sequel
Fare meglio del disastroso Scontro tra Titani (2010), già remake dello strambo eppur felice Scontro di Titani (1981), non era certo un impresa eroica, ma promuovere il film di Jonathan Liebesman evocando le sfortune del suo predecessore, Louis Leterrier, suonerebbe come un peccato di generosità.
Liebesman e il nuovo team di sceneggiatori riprendono le avventure dell’eroe greco Perseo che, a dieci anni dall’uccisione del Kraken, vive felicemente con il figlio in un villaggio. Il potere degli dei dell’Olimpo, a causa della sfiducia degli uomini, si è nel tempo indebolito e Zeus, Ade e Poseidone sanno di non poter più trattenere il padre Crono, da loro sepolto tempo addietro nel sotterraneo Tartaro. Ade e Ares stringono un patto segreto con Crono e catturano Zeus: Perseo dovrà scendere nel regno degli inferi per liberarlo e scongiurare il ritorno di Crono e dei Titani. Sappiamo che i film hollywoodiani manipolano a loro uso e consumo l’antichità classica, e La furia dei Titani, che sulle orme del film di Leterrier si rifà più all’estetica da videogioco (inevitabile il confronto con la serie God of War) che a Omero e soci, non fa certo eccezione. Messi in preventivo gli attacchi di orticaria, ingiustificati dato il senso dell’operazione, di fronte a un Efesto rincitrullito e ad Ares che scazzotta con Zeus e Ade (i decrepiti Liam Neeson e Ralph Fiennes), Liebesman evita il minestrone insipido partorito dal collega lavorando per riduzioni: inferiore il cast, contenuta la retorica made in Usa sulla figura dell’eroe solo contro tutti, essenziale e compatto il plot principale, fiancheggiato da due linee secondarie, la comica e la romantica, talmente esigue da risultare insignificanti ai fini del racconto. L’esito globale, dettato forse dalla necessità inconscia di evitare la baracconata, è un film pigro che si premura di abbassare il tiro. I motivi di interesse – la contrapposizione tra umano e divino, dove il secondo è messo in cattiva luce, e tra padri e figli – ci sarebbero, ma, in ossequio alle leggi di un intrattenimento fine a se stesso, la rifinitura degli spunti rimane povera e acerba. La mancanza di audacia è paradigmatica a livello visivo, per nulla esaltato da un 3D evitabile, che non aggiunge nulla a una distesa di effetti speciali ripetitivi benché realizzati con perizia. Di fronte a una generazione di kolossal spesso dozzinali e fumosi in quanto ad argomenti, ma memorabili per la capacità di impressionare il nervo ottico (si va dalla supponenza teutonica di Roland Emmerich e Wolgang Petersen ai barocchismi di Zack Snyder), La furia dei Titani, ennesimo rigurgito Warner Bros, ormai in piena fame compulsiva da peplum tecnologico, cade, con la sua medietà, nel dimenticatoio.