Korea Film Fest, Firenze, 23-31 marzo 2012
Tavola rotonda
Che musica e commedia vadano a braccetto è cosa risaputa fin dall’antichità. Ma quando si parla di angoscia politica e disagio sociale, di primo acchito vien poco da ridere.
Eppure il genere comico risponde da sempre a un preciso bisogno di critica e di riflessione- anche in senso speculare – della comunità che rappresenta. Dimenticarlo vorrebbe dire spogliarlo della sua stessa ragion d’essere. Ne sono ben consapevoli Lee Joon-ik e Roan Jhonson, ospiti della tavola rotonda coordinata da Gabriella Cerbai tenuta martedì 27 al Florence Korea Film Fest.
I due registi rappresentano realtà apparentemente distanti. Lee Joon-ik è un autore affermato di successi come Once Upon a Time in Battlefield (2003) e The King and the Clown (2005), oltre ad essere il fondatore della casa di produzione CineWorld, Roan Jhonson è un talentuoso esordiente al primo lungometraggio, già esperto sceneggiatore per il cinema e la televisione. Tuttavia il suo I primi della lista spartisce con Happy Life di Lee più di un punto in comune.
In entrambi, tanto per cominciare, c’è un concerto da fare. Nel primo è quello di due giovani pisani nell’Italia degli anni‘70 insieme al loro idolo Pino Masi, autore della Ballata del Pinelli e di altre canzoni di contestazione, nel secondo è quello di quattro coreani, amici di vecchia data, che da tempo hanno sciolto la band per assolvere ai doveri della vita adulta. Nell’uno e nell’altro caso la musica non è che un pretesto per raccontare delle rispettive inquietudini, frutto delle problematiche che ne attraversano gli sfondi storici. L’ansia e la paranoia agli esordi degli anni di piombo così come l’insoddisfazione di chi ha dovuto abbandonare ogni sogno per l’impellenza di difficoltà materiali sono temi più che drammatici affrontati, stavolta, attraverso un registro comico. Bizzarro? Mica tanto se si pensa alle potenzialità analitiche del genere. Se in Italia la commedia vanta una solida tradizione, sia teatrale che cinematografica, in Corea figura tra i generi più apprezzati insieme al melodramma e all’azione, soprattutto a partire dal boom della commedia familiare degli anni ‘90. Rileggere in chiave comica momenti cupi e controversi della storia di una società permette non solo di metterne in luce le contraddizioni ma anche di valorizzare aspetti quotidiani e personali, spesso più rappresentativi di un periodo rispetto ai grandi eventi storici. Le storie di vita, con la “s” minuscola, restituiscono il vero impatto delle vicende sulla gente comune. “Volevo raccontare il punto di vista dei perdenti” ha affermato Lee Joon-ik. I toni della commedia consentono allora una duplice operazione perché se da un lato favoriscono una catarsi terapeutica in quelli che hanno vissuto gli eventi dall’altro annullano le distanze in coloro che non vi hanno preso parte, assicurando un coinvolgimento immediato. “Ho sentito che era trascorso il giusto lasso di tempo per questo tipo di lettura” ha precisato Jhonson a proposito della “giusta distanza” rispetto a ciò che si narra. Si è anche discusso di come la commedia coreana non si traduca mai nello slapstick o nei giochi di parole fini a se stessi ma sia sempre legata a un certo intimismo, alla voglia di vivere e a una componente drammatica comunque presente. Lo stesso può dirsi del film di Johnson che, al di là di equivoci e paradossi, prende le mosse da fatti realmente accaduti mentre la didascalia sul tentato golpe Borghese ricorda come la tensione di quegli anni non fosse affatto ingiustificata. E’un approccio consolante in un panorama comico da tempo impantanato nell’inutile qualunquismo dei cinepanettoni o nel successo inspiegabile di tormentoni insulsi e macchiette televisive. Non resta che sperare che sia il primo di una lista.