filmforum, Udine-Gorizia 20-29 marzo 2012
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Esiste ancora una qualche forma di pudore nell’era social del voyerismo di massa?
E che ruolo hanno assunto le community sul controllo del flusso libero di informazioni multimediali, che costantemente bombarda soggetti fisici e virtuali?
Da queste premesse parte l’operazione “caccia al video” di Dominic Gagnon, approdato alla piattaforma digitale dopo dieci anni di filmmaking sulla strada. I sentieri dischiusi dalla rete, la possibilità di accedere immediatamente al materiale visivo e di coglierlo in tutta la sua essenza, hanno fatto innamorare quest’artista canadese che nei suoi found footage rielabora gli interventi amatoriali censurati su youtube. Il pensiero cartesiano totalmente riformulato, per cui “postare” oggi equivale a dare un segno della propria presenza nel mondo, viene salvaguardato e incoraggiato nelle installazioni che sconfessano l’America “Land of the free, brave and heart”. Rip pieces America, è un archivio dei volti in bassa risoluzione e delle parole degli invisible men, pixellati ma mostrati senza filtri e senza la presenza di un mediatore che dosi i contenuti del loro linguaggio. L’unico medium è la telecamera, puntata come un’arma contro l’immagine vincente degli States, demolita con maggiore violenza dal campionario di rabbia femminile di Pieces and Love All to Hell. Gagnon in entrambi i collage, si domanda se sia giusto parlare di un’etica 2.0 e se lo stesso popolo di internet non si stia rendendo complice di quel disegno che mira lentamente a sgretolare e oscurare la libertà d’espressione, issata a baluardo del mezzo fin dalla sua nascita. Nella “vita liquida” dai contorni indefiniti, i fenomeni del reale indegni di attenzione, che qui finalmente avrebbero trovato un canale di sfogo, continuano a fare paura e a essere percepiti come un abuso da segnalare tramite una bandierina, scudo per le ipocrisie di una società che preferisce volgere il proprio sguardo verso altre rassicuranti direzioni. Il problema culturale si materializza dunque nell’atto di protesta eseguito in Weightless, performance live ad infrarossi dove il peso della voce perde consistenza chiudendosi nel mutismo dell’autocensura, finché le forze lo consentono.