ANTEPRIMA
Gli ’80 dentro l’armadio
Che odore avrebbe un abito chiuso in un vecchio armadio per circa vent’anni, come ricordo di un tempo passato? Sicuramente saprebbe di stantio. Take Me Home Tonight è esattamente così.
Fine anni Ottanta. Matt è un giovane neo-laureato all’MIT. In attesa di capire cosa fare nella vita lavora in un videonoleggio, rivangando l’amore mai confessato per la bella e irraggiungibile compagna di classe Tori che, un giorno, entra in negozio. Per conquistare l’attenzione dell’amata, si spaccia per consulente finanziario, dandole poi appuntamento a una festa tra ex compagni di scuola. Qui una serie di banali imprevisti si susseguono fino al prevedibile finale.
Il quarto lungometraggio di Michael Dowse, noto per film “estremi” come Fubar e Fubar II (sorta di Beavis and Butt-head in live action), perde tutta la corrosiva negatività dei lavori precedenti.
Quest’ennesimo teen movie non fa che girare attorno a sé, ripresentando come nuove situazioni e soluzioni narrative usate più e più volte, in quella che a prima vista potrebbe risultare una pallida imitazione di “classici” della commedia sboccata giovanile (Porky’s – Questi pazzi pazzi porcelloni o American Pie), ma ai quali in realtà neppure si avvicina, non avendo neanche un decimo della mordacità politically incorrect che era, volenti o nolenti, la carta vincente di quelle pellicole.
Nel film di Dowse non c’è niente di nuovo sul piano narrativo (tanti clichés quali l’amore perso poi ritrovato, eccessi giovanili “fumo-droga-sesso-tutto in una notte”, nerds vincenti, ecc.), né su quello del significato – non è chiaro tra l’altro quale sia il “messaggio” e il motivo dell’ambientazione negli anni Ottanta (fatta solo di qualche acconciatura e canzone) – né sul piano dei personaggi, tutti fortemente stereotipati e assolutamente privi di qualche spunto originale.
Unica eccezione è Barry, l’amico fraterno del protagonista che – cercando di scimmiottare pateticamente la comicità fisica dei personaggi solitamente interpretati da Jack Black – finisce con il strappare qualche sorriso in una gara di ballo dove la sua limitante goffaggine viene superata con un calcio nei genitali dell’avversario, o durante un rapporto sessuale con un’attempata signora dell’alta società, con tanto di marito guardone a fare il tifo. Ma è davvero poca cosa.