Speranze tradite
Al centro della vicenda di Là-Bas c’è la strage d’immigrati compiuta nel 2008 a Castelvolturno dai casalesi.
Sei persone di colore (oltre a un pregiudicato casalese) furono freddate all’interno di una sartoria portando per un attimo all’attenzione dei media l’orrore xenofobo camorristico e la morsa che ha sugli affari del territorio.
Yossuf, giovane appena arrivato in Italia, è il personaggio attorno cui ruota tutta la storia, prelevato dalla stazione da un altro ragazzo nigeriano, verrà successivamente iniziato alla vita criminale dallo zio, importante trafficante di droga, che gli mostra l’unica via possibile per sfuggire alla miseria che ogni immigrato è costretto a vivere non appena sbarcato. Ciò che colpisce della pellicola è come per il protagonista tutto avvenga senza una possibilità di uscire dal contesto; l’assenza di volontà del personaggio nel ribellarsi ad una vita criminale, dal quale egli stesso inorridisce, non è data da una sua debole personalità, ma al contrario è decisa non solo dall’impossibilità di scegliere un’alternativa ma prima ancora di pensarla. Anche gli spettatori, come il protagonista, sono impossibilitati ad immaginare un’esistenza differente, il mondo sociale che vediamo è l’unico possibile, e ciò è dato dalla perenne vicinanza della macchina da presa nei confronti dei personaggi che riempiono lo schermo con i loro corpi, così da non permettere mai allo spettatore di distogliere lo sguardo dai drammi umani che li accingono, e lasciando solo piccoli scampoli d’immagine per lo spazio che li circonda (i campi sono rari ma bilanciati dal gran impatto ed equilibrio fotografico). Là-Bas lavora sulle texture delle superfici allo stesso modo di Gomorra, i piccoli squarci di muro, pareti e strade sono il simbolo di un disordine e disperazione sociale, rovine di un mondo che esiste solo nelle speranze di chi qui arriva per sfuggire dalla fame ma che invece si ritrova solamente a ricoprire il ruolo d’ingranaggio all’interno del meccanismo capitalistico che è alla base della mentalità camorristica del territorio. Le multinazionali, quindi, ci appaiono così con il loro vero aspetto, non più simboli del benessere a portata di tutti, ma semplici segni di una tristezza esistenziale impossibile da sfuggire o da combattere (la scatola di scarpe Nike usata per spacciare è il corrispettivo inorganico dei corpi dei clandestini adoperati per trasportare ovuli ripieni di droga).
Guido Lombardi firma così la sua opera prima in maniera decisa e coraggiosa, mostrando anche una non indifferente abilità nel costruire sequenze di buon impatto scenico e ritmico; qualche scelta infelice può esser trovata a livello visivo e nei dialoghi.
Lombardi mostra di guardare a due dei maggiori autori dell’ultima generazione italiana (Garrone e Sorrentino), senza per questo rendere il suo lavoro spersonalizzato, al contrario rivela un coraggio difficile da trovare in altre opere prime italiane.