Sei personaggi in cerca di Cesare
Un Orso d’Oro vinto, meritatamente, mentre tutta l’Italia veniva plasmata dal vecchio profeta Celentano e dal tatuaggio inguinale di una soubrette, ma nato altrove: da una necessità, da una passione adolescenziale che i fratelli Paolo e Vittorio Taviani (162 anni in due) hanno avvertito nell’istante in cui i detenuti/attori del carcere di Rebibbia sono entrati nelle loro vite.
Nel reparto di massima sicurezza che da anni li accoglie nasce così l’idea di mettere in scena la tragedia shakespeariana Giulio Cesare, assieme al regista Fabio Cavalli e di dare vita ad un film, Cesare deve morire assieme ai due cineasti pisani. Per interpretare quella che lo studioso Giorgio Melchiori definì come “la prima tragedia del teatro moderno europeo”, i detenuti devono fin da subito dare fondo a tutta la loro dignità di uomini, sotto l’occhio consapevole e mai pietoso della macchina da presa, accostandosi ai rispettivi personaggi come simbiosi del Bene e del Male. Non si era mai visto, almeno al cinema, un approccio così pirandelliano al teatro di Shakespeare. I protagonisti recitano senza mai dimenticare di essere uomini, anche quando l’artificio viene svelato e la finzione travalica i confini della quarta parete scenica per entrare nei limiti dell’immagine cinematografica. La tensione del palco li rende forti e impenetrabili ma anche nei momenti in cui si evidenziano le forzature recitative degli a-parte filmici è sempre l’essere umano che emerge, prima nella sua inarrestabile vitalità e poi nella sua insicurezza. I personaggi cercano costantemente di uscire dalla bocca dei detenuti e di raggiungere, attraverso l’arte, quella libertà tante volte evocata nella pièce. Quando il ricordo della vita fuori dalle sbarre emerge e si contamina con la storia dei personaggi interpretati, si aprono degli squarci di realtà che fanno male, come quando il bravissimo Salvatore Striano rintraccia in una battuta del “suo” Bruto le stesse parole proferite, anni addietro, da un suo amico: uno che, come lui, smerciava sigarette di contrabbando sui marciapiedi. “Ho respirato tutta la libertà in una battaglia e l’ho persa” recita un altro detenuto, a metà fra vita e rappresentazione. Al pari dei personaggi di Pirandello la libertà dei detenuti passa attraverso le parole di chi li racconta ed è emblematico veder quest’ultimi rientrare nelle celle di massima sicurezza, al termine dello spettacolo. Un’immagine, una didascalia letteraria, vera e disarmante.