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Sulla guerra e sul piacere
Sulla piattaforma indieframe, tra la vasta scelta di inediti e opere altrimenti invisibili nel nostro paese, è possibile vedere anche De la guerre del regista francese Bertrand Bonello, presentato nel 2008 a Cannes nella sezione un certain regard.
Il film prende titolo dal famoso manuale di strategia e filosofia militare scritto nel XIX secolo dal prussiano Von Clausewitz, volume che compare più volte sfogliato da Ulma (Asia Argento), capa e punto di riferimento di una strana setta. De la guerre però non mette in scena, nonostante il titolo e la ricorrente presenza del corposo tomo, una contrapposizione nel senso più comune e immediato del termine; il conflitto non è tra due fazioni evidenti e riconoscibili, semmai, nella chiave di un cinema “filosofico” che è la tipologia più corretta se vogliamo inglobare il film in un “genere” determinato, tra due concezioni della vita: quella convenzionale e quotidiana contro una che mira ad ottenere uno stato di piacere permanente. Tutto nasce dall’incidente capitato a Bertrand (Mathieu Amalric), il quale rimane chiuso una notte intera in una bara, dove trova una sensazione di assoluto piacere e di rilassamento che arriva a livelli del sublime. Viene successivamente a contatto con un gruppo che, isolato in una villa in aperta campagna, dove si vive come in una comune, cerca di ottenere lo straniamento e la sensazione di godimento assoluta e permanente; nella visione della fondatrice (la già citata Ulma) per ottenere questo è necessario comportarsi come se si stesse aspettando di combattere una battaglia, e di andare in guerra. Perciò la ricerca del piacere costante comporta sacrifici e fatica, simboleggiati da esercizi simili a quelli di un addestramento militare.
Se il senso filosofico che sorregge il film (contrapposizione quotidianità e conformismo/utopia della gioia continua, e difficoltà di essere felici) in fin dei conti non è particolarmente originale e urgente, contano maggiormente le modalità narrative e stilistiche messe in atto. Da una narrazione che alterna forti elissi a momenti quasi allungati nella loro durata che ingigantiscono le sensazioni del protagonista, fino ad una presenza registica che si vede, anche grazie all’esperienza musicale di Bonello, soprattutto nell’evidenza avuta da rumori e dalle musiche: a partire dalle raffinate melodie classiche che risuonano durante l’esplorazione della villa, fino alla ripetitività elettronica durante l’addestramento e alle improvvisate strimpellate alla chitarra una volta pienamente partecipe delle missioni della setta, senza dimenticare i significativi momenti di assoluto silenzio, tutto serve per sottolineare, rafforzare e sostenere il senso dell’opera.