I cetacei che commossero l’America intera
L’ultima fatica dell’eclettico regista Ken Kwapis – un habitué delle commedie che questa volta ha deciso di regalarci una storia ispirata a dei fatti realmente accaduti, fatta di buoni sentimenti e grandi speranze, adatta a grandi e piccini – è un film che si svolge a Point Barrow, uno sperduto lembo di terra circondato dai ghiacci perenni nel nord dell’Alaska.
Una località sconosciuta ai più, e che sicuramente sarebbe rimasta tale se alla fine degli anni Ottanta un giornalista televisivo di Anchorage non avesse casualmente filmato una famiglia di balene della California, giunta in quelle acque con le migrazioni estive e, suo malgrado, rimasta intrappolata nel pack. Il servizio viene fortuitamente trasmesso su un network nazionale, calamitando istantaneamente ed inaspettatamente l’attenzione degli USA: ecco che allora bambini, industriali, politici e persino militari si attivano all’unisono in una corsa contro il tempo per creare un varco verso l’oceano e liberare gli sfortunati cetacei dalla morsa del ghiaccio marino. Sembra una vicenda caratterizzata in primis da una matrice ambientalista, ma in realtà il film racchiude molteplici sfaccettature e diversi punti di vista: quello del reporter del canale locale, dell’ex fidanzata accanita ecologista (la talentuosa Drew Barrymore qui nuovamente in una convincente prova di recitazione), del magnate petrolifero, di un colonnello (il bel Dermot Mulroney de Il matrimonio del mio migliore amico, qui nei panni di un bulimico sentimentale, tutto lavoro e incapace di amare). Ma sopratutto quello del popolo eschimese, che sopravvive anche grazie ad una oculata e rispettosa caccia alle balene, la cui lotta centenaria per la salvaguardia della propria identità culturale viene messa in serio pericolo proprio dagli improvvisi riflettori mediatici puntati sulla sperduta e (fino ad allora) ignorata cittadina e dall’attenzione di una nazione che, divenuta miope proprio perché commossa profondamente dalla storia struggente delle balene, può mal interpretare la volontà di quei nativi americani che difendono il loro diritto di cacciare i cetacei.
Sebbene a tratti appaia come un’occasione sprecata (potenzialmente si poteva forse osare di più nel raccontare il variopinto circo mediatico e gli interessi economico-politici creatisi attorno alla vicenda dei cetacei), bisogna però ammettere che, nell’era del 3D, portare nelle sale una pellicola sprovvista di effetti speciali spettacolari o colpi di scena rappresenta un atto di coraggio da parte di Kwapis.
Anche perché il caleidoscopio di vicende raccontate indubbiamente favorisce dei variegati spunti di riflessione negli spettatori: un risultato positivo e che, purtroppo, ultimamente sembra essere tutt’altro che scontato quando si parla di cinema.