High school forever
Mavis inserisce la cassetta e preme play. Ascolta una canzone. Poi riavvolge il nastro. La ascolta ancora. E ancora. E ancora.
Young Adult è un film che gira in tondo, ma non a vuoto. Vive sulla pelle, gli sguardi e i capelli della sua protagonista, interpretata (splendidamente, dolorosamente) da Charlize Theron: Mavis ha 37 anni, un cangnolino che impassibilmente ignora, un matrimonio finito alle spalle, un libro per ragazzi (l’ultimo) da finire. La musicassetta che consuma nell’autoradio è anni ’90 quanto la compilation che vi è incisa, e quanto Mavis medesima. Che al 2012 è arrivata senza crescere, puntellando la propria immaturità in una ferrea routine antitemporale, risvegliandosi ogni giorno con i vestiti della sbornia della sera precedente, trangugiando junk food, whisky e coca light, ascoltando il cicaleccio in sottofondo dei reality onnipresenti nel daytime televisivo e parlando lo stesso linguaggio di frasi fatte da Smemoranda adolescenziale. Inevitabile che sia annoiata: forse per questo decide di lasciare (temporaneamente) la grande città (Minneapolis) per una capatina al suo paese natale, giusto il tempo (almeno nelle intenzioni) di riconquistare il fidanzatino del liceo, ora felicemente ammogliato e con prole. Young Adult è frutto della coppia indi(e)pendentissima Jason Reitman/Diablo Cody, rispettivamente regista e sceneggiatrice del super acclamato Juno. Alla logorrea strabordante e simpaticamente inverosimile della teen mom Ellen Page, i due contrappongono in Young Adult silenzi pesanti e dialoghi asciutti, spesso (volutamente) banali, talvolta amabilmente crudeli. Il risultato è un film sgradevole, ma in senso “buono”: uno di quei casi in cui l’accuratezza della sceneggiatura, la stratificazione dei rimandi, dei dettagli, dei rispecchiamenti di senso lievita esponenzialmente dopo la visione. Gira in tondo, si diceva, senza nemmeno l’illusione di false ripartenze, ma reggendosi a un filo sotterraneo di tensione costantemente sul punto di deflagrare in un poco dignitoso pianto isterico. Procedendo verso il finale, taglia le vie di fuga, frantumando le alternative possibili di una realtà (a ognuno trarre la conclusione se diffusa o solo individuale) forzatamente ibernata: sottomissione alle regole del gioco o destino d’outsider, l’incomprensione (prima di tutto a se stessi) è garantita. Che il trascorrere del tempo inverta i ruoli di popolarità tra la cheerleader bulletta e la sfigata senza causa non fa che accrescere la desolante constatazione che giovani (mai) adulti si era e si resta.
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