Il piacere dei trionfi aumenta d’intensità quando sono inattesi. Nessuno pensava che Cesare deve morire dei fratelli Taviani fosse tanto quotato al festival di Berlino, né era dato tra i favoriti della vigilia.
Per dire: mezzo mondo nel 2001 era a conoscenza del fatto che La stanza del figlio avrebbe vinto la Palma d’Oro a Cannes. Stavolta, fatte le dovute proporzioni, le cose sono andate nella maniera opposta. Ed è curioso che proprio Nanni Moretti, il cui talento di distributore – secondo i maligni – sta superando quello di cineasta, si sia accaparrato, ben prima dell’Orso d’Oro, il film dei Taviani per la sua Sacher. Lo vedremo presto e annunciamo da subito che sarà nostro film della settimana a Mediacritica.
I Taviani se lo meritano, eccome. Sia pure accademici in alcune delle ultime prove – ma anche in questo caso, bisogna poi vedere in che modo: l’accademismo di registi come loro o come Montaldo contiene un grumo di cinema irriducibile e artigianale – i due fratelli sono figure importanti del cinema italiano. E’ sicuramente una bella notizia che questo successo, in qualche modo tradizionale, civile, lontano dalle fanfare, sia giunto contemporaneamente al mostruoso spettacolo offerto da Sanremo. Mentre Celentano e Morandi bamboleggiavano senili e impuniti, infatti (e qualcuno per fortuna fischiava sonoramente), un grido dal loggione ha commosso i due sul palco: “Siete un pezzo di Italia!”.
Ora, è certo che a Celentano e Morandi spetti una fetta di cultura popolare nostrana, ci mancherebbe, e la storia della canzone pop è una delle cose più nobili proposte dal nostro paese. Ma c’è chi invecchia bene (i Taviani), chi malino (Morandi), chi malissimo (Celentano). Un Orso d’Oro vinto da sfavoriti, con umiltà, senza che nessuno aspettasse questo Cesare deve morire con impazienza, vale ben di più dei sedici milioni di spettatori capitalizzati dal farneticante duo. Sono loro il vero pezzo d’Italia.