Poche cose nella merdosa e ariana cittadina di montagna di South Park
“Tutti i personaggi e gli eventi in questo show – anche quelli basati su persone reali – sono del tutto immaginari. Tutte le voci delle celebrità sono state imitate… pessimamente. Il seguente programma contiene un linguaggio offensivo e per i suoi contenuti non dovrebbe essere visto da nessuno”.
Questa scherzosa versione del celebre bollino “parental advisory” discografico apre ogni puntata di South Park, e sinceramente non mette in guardia a sufficienza l’incauto spettatore in procinto di assistere alle avventure dei quattro ragazzini protagonisti. Dire che South Park contenga un linguaggio offensivo è riduttivo, e i suoi contenuti… beh, che dire di un programma in grado di fornire profondissime riflessioni filosofiche su politica, etica, religione, economia, società e cultura tra un peto rumoroso e un “succhiami le palle, ebreo!”, tra uno smembramento splatter e violente esplosioni di diarrea, tra pratiche sessuali estreme e continui insulti razzisti e blasfemie? In superficie, South Park è questo, uno shock continuo, una serie volutamente esagerata di sequenze fastidiose, nel migliore dei casi. Il bello, il miracolo compiuto dagli autori Matt Stone e Trey Parker, è che tutte queste schifezze, paradossalmente, non sono (quasi) mai fini a se stesse, ma funzionali a discorsi sui massimi sistemi e intelligenti critiche della società contemporanea. Lo shock è lo strumento scelto per indurre le persone a pensare; l’offesa, pesante e diretta, è per lo più solo un modo per spingere le persone a reagire. La tecnica non è nuova, ed è la stessa che usavano, ad esempio, Lenny Bruce o Frank Zappa, e Stone e Parker non fanno altro che aggiornarla ed estremizzarla, prendendosi criticamente gioco di tutto e tutti. Per fortuna, nonostante le centinaia di cause legali e la miriade di proteste (principalmente di fazioni religiose), la maggior parte della gente non si è fatta fregare e ha colto i geniali riferimenti a Socrate, Hobbs, Locke, Smith, Cartesio e altri filosofi nascosti sotto montagne di merda e sborra, creando un vastissimo zoccolo duro di fan che ha permesso a South Park di raggiungere la quindicesima stagione, nonché il rinnovo fino al 2016. È vero che la serie, negli ultimi anni, ha perso buona parte del suo mordente, e questa quindicesima stagione (in onda il mercoledì sera su Comedy Central) non si distanzia dal trend, offrendo quattordici episodi che vanno dall’inutile al molto interessante, senza però convincere appieno. Puntate come Royal Pudding e City Sushi sono tra le peggiori mai viste, da evitare come la peste, mentre HumancentiPad e A History Channel Thanksgiving prendono spunto da film del momento per contaminarli con fenomeni di costume e altri media, situazione consueta e ormai codificata all’interno della serie, con risultati, in questo caso, non molto esaltanti. Splendida invece Broadway Bro Down, la cui idea di fondo è che tutti i musical stile Broadway, in realtà, servono solo a fare il lavaggio del cervello alle donne, in modo da convincerle a fare super pompini ai loro accompagnatori dopo lo spettacolo: un’ottima pubblicità, se state al gioco, per il musical The Book of Mormon degli stessi Parker e Stone, cui sarcasticamente fanno riferimento, e che sta mietendo successi e premi prestigiosi.
È però nelle puntate che riflettono sull’attualità, che questa quindicesima stagione di South Park dà il meglio. Bass to Mouth tratta del fenomeno Wikileaks e di Julian Assange, ritratto come un invadente e pericoloso roditore, gemello cattivo di Lemmiwings, il re dei gerbilli, personaggio storico della serie. Per tutta la puntata Wikileaks è descritto come un’entità maligna che viola impunemente la privacy di chiunque, ma una volta sconfitto, uno dei personaggi conclude l’episodio con questa affermazione: “ora possiamo tornare a leccare il buco del culo dei minorenni senza che nessuno lo venga a sapere!”. È la cifra stilistica di South Park, il portare all’estremo due posizioni discordanti, senza dare risposte ma ponendo domande, magari anche risapute, come in questo caso (fino a che punto si può violare la privacy di qualcuno?). “Quello che diciamo nel programma non è niente di nuovo, ma è fantastico dirlo pubblicamente. Quelli che urlano da un lato e quelli che urlano dall’altro sono uguali, ed è bello stare nel mezzo e ridere di entrambi”, ha affermato Parker in un’intervista, e Bass to Mouth è l’ennesimo esempio della poetica e del modus operandi dei due autori. L’episodio migliore è 1%: a causa della pessima forma fisica di Cartman (l’1%), tutti gli alunni della scuola (il restante 99%) sono costretti a ore supplementari di educazione fisica. Partono così le proteste, che i media paragonano al movimento Occupy Wall Street, ingigantendo a dismisura l’evento senza capirne il motivo. La situazione si risolve da sola quando i manifestanti cominciano a litigare tra loro sulle percentuali che rappresentano, arrivando ad autocontraddirsi e a mettere automaticamente fine alle proteste. Dialoghi brillanti e sequenze splendidamente demenziali riportano ai vecchi fasti della serie, e fanno ben sperare nel futuro: 1% dimostra che South Park, seppur ormai ripetitivo nelle sue provocazioni, è ancora un programma capace di dire qualcosa di intelligente in una forma originale e inimitabile. E scusate se è poco.
South Park [id., USA 1997-in corso] IDEATORI Matt Stone, Trey Parker.
Cartone animato, durata 22 minuti (episodio), stagione 15.