Nella loro ormai celebre rubrica di recensioni brevissime sul Corriere della Sera (reperibile online cercando “La nostra guida ai film”), Alberto Pezzotta e Filippo Mazzarella riescono persino a ragionare in cinque righe sullo stato del cinema.
Prendiamo la recensione di Pezzotta a The Iron Lady: “Sic transit: la Thatcher con l’Alzheimer a confronto col suo passato. Essere stata discriminata perché donna e figlia di un droghiere scusa la sua politica reazionaria? Una certezza: la mostruosa bravura della Streep. E il film fa riflettere soprattutto sul ruolo del cinema oggi: memoria di un mondo in preda all’oblio”.
A parte il giudizio assai condivisibile, interessa e incuriosisce questa ultima riflessione. A ben pensarci, l’espandersi inarrestabile delle biografie cinematografiche, su personaggi nemmeno troppo lontani (la Thatcher, ma anche Hoover e molti altri), e l’affermarsi di interi festival dedicati all’argomento (il Biografilm per esempio), fa pensare che il grande schermo si stia sostituendo alla storiografia ufficiale. Non conosciamo i dati di vendita dei saggi biografici, ma sappiamo per certo che il frullatore mediatico – spinto fuori giri dalla presentificazione dei new media (che possiede, sia chiaro, altrettanti stimoli positivi rispetto a quelli deteriori) – non ammette quasi più l’analisi retrospettiva. Ce ne accorgiamo anche nel piccolo del nostro Paese, dove i personaggi politici di pochi mesi fa, quelli di un berlusconismo che pareva così disseminato da far credere a molti che non se ne sarebbe più usciti, oggi sono precipitati nell’oblio. Nemmeno nell’odio: proprio nell’indifferenza e nello sbadiglio. C’era un clima da guerra civile e una indignazione traboccante, oggi il ricordo è sbiadito, a pochissimi mesi dagli avvenimenti.
Bene, su larga scala, accade lo stesso. Il cinema biografico sembra assumersi ben più che un ruolo di testimonianza romanzata o di scavo privato del personaggio pubblico, come poteva essere fino a qualche tempo fa. E raramente di libera reinvenzione poetica (si pensi ai ritratti dei dittatori di Sokurov). No, ora è proprio la dimensione storiografica a trionfare, come ruolo vicario rispetto a quello che altri non fanno.
Si sarà notato come la frase più gettonata dei talk show da qualche tempo sia: “Questo lo decideranno gli storici, io mi limito a dire che…”. Ecco, più che gli storici, sembra che sia il cinema a occuparsi della questione, almeno su piazza pubblica e fuori dalle accademie. Attendiamoci una crescita di questa tendenza e teniamo le antenne dritte prima che santificazioni e banalizzazioni (ogni riferimento al film di Phillida Lloyd è puramente voluto) dettino memorie condivise all’opinione pubblica.