La percentuale della vittoria meneghina segna il punto di partenza del saluto all’Italia videocratica, documentato in un progetto collettivo coordinato da Luca Mosso e Bruno Oliviero, e presentato fuori concorso al 64° Festival di Locarno. L’inaspettato responso del primo turno elettorale, abbattutosi come un macigno sulla Giunta Moratti, è il sentore che qualcosa di grosso sta avvenendo. La Zingaropoli e l’invasione delle moschee, formule dominanti dei mantra recitati per scongiurare lo spettro comunista, sono volate via nel vento dello smog di una città tornata sui propri passi dopo quasi vent’anni.
Dal ballottaggio potrebbero dipendere i destini di un’intera nazione, così nasce Milano 55.1, settimana di passioni filmata sul campo da un folto gruppo di videomakers radunatosi per l’occasione. Nessun uso di materiale pre-registrato riguardante i candidati sindaco – come il confronto/scontro automobilistico con colpo di scena e finale rivelatore avvenuto su Sky – ma la politica in presa diretta a contatto con la gente, sulle strade, tra le piazze e i mercati, le affissioni, i sit-in e i banchetti. O i concerti che, accostati, appaiono come la metafora musicale di un manifesto programmatico, nonché lampante anticipazione del decisivo verdetto alle urne.
Ma per tracciare lo scenario apocalittico prospettato in quei giorni di violenta campagna denigratoria (già raccontato parodisticamente dal fenomeno web “Il Terzo segreto di satira” con Il favoloso mondo di Pisapie), gli obiettivi scelgono di non seguire l’Obama dei Navigli, preferendo pedinare ai margini dei riflettori i co-protagonisti della corsa: Stefano Boeri e Matteo Salvini, rispettivamente esponenti del PD e della Lega, e rappresentanti emblematici di due modi diversi di rapportarsi con l’elettorato. Uno è architetto, frequenta i salotti dell’intellighenzia di sinistra ma ha alle spalle il canto di libertà e l’energia positiva del popolo arancione – una comunità dispensatrice di abbracci, che al Suv preferisce la bicicletta. L’altro appartiene a una classe politica stanca, decaduta, che ha fallito sul territorio in termini pratici (come dimostra il comizio ripreso in un quartiere periferico del capoluogo lombardo) ma che continua ad avere seguito grazie al linguaggio populista e alla passione sincera per l’attivismo militante di megafono.
Cronaca necessaria da tramandare ai posteri, se non altro per la straordinaria partecipazione civile, la festa in Piazza del Duomo è il ritratto di una cittadinanza a lungo rimasta nascosta, oppure semplicemente mutata rispetto alla Gente di Milano del boom economico, immortalata dal fotografo Gianni Berengo Gardin. Una cittadinanza che, al di là delle ideologie (ampiamente superate, secondo il bambino anarchico, voce del futuro), si riappropria degli spazi urbani e manifesta prepotentemente la volontà di esercitare il proprio diritto al voto (per l’ultima volta nell’anno 2011- percorso politicamente per intero dal blogger Zoro, in Finale di partita ). Lì, rivolta a quella folla, c’era l’attenzione di tutti. Lì, sotto l’ombra della Madonnina, possibilmente c’era anche Matteo Salvini a ballare sulle note di “Tutta mia è la città”, ignaro del futuro avvento della Tecnocrazia.