L’importanza di essere (Vincent) Gallo
Vincent Gallo è un genio. Vincent Gallo è un cialtrone. Meglio: Vincent Gallo è un genio proprio perché è un gran cialtrone. E viceversa. Un egocentrico che interpreterebbe sei personaggi in una stessa pellicola, ma che odia la luce dei riflettori.
Un provocatore che, presentando il suo ultimo film Promises Written in Water a Venezia 67, diserta conferenze stampa e presentazioni ufficiali lasciando al popolo festivaliero la leggenda di averlo visto a spasso per le vie del Lido in passamontagna. Sulla fama di maudit preconfezionato e di personalità incontrollabile/incomprensibile, Gallo c’ha costruito un’intera carriera. Ma sarebbe troppo facile liquidarlo come un impostore arrogante. L’uomo che in Buffalo ’66 – capolavoro degli affetti negati – fissa con spocchia la cinepresa dal finestrino della sua auto è il ponte che separa l’underground dal mainstream. In quell’esordio folgorante avevamo colto l’astuzia di chi ha capito quali tasti suonare, quali porte lasciare socchiuse. Il tonfo memorabile del successivo The Brown Bunny (“peggior film mai apparso al Festival di Cannes” tuonò il critico Roger Ebert) rimescolò le carte. E allora, dove lo mettiamo Vincent? Fra gli eroi, fra gli incompresi o fra gli imbroglioni? Lui chiosa, dichiarando di non sentirsi vicino a nessuno della sua epoca e girando un’opera che è una totale e blasfema presa per i fondelli. Un’intera platea che guarda Promises Written in Water lambiccandosi il cervello per trarne un senso è il miglior risultato possibile per Gallo; perché della storia della bellissima Mallory malata terminale che chiede al fotografo Kevin di starle vicino negli ultimi momenti di vita non frega niente a nessuno, in primis allo stesso regista. Il bianco e nero alla Cassavetes, le riprese sgranate, i lunghi dialoghi con ripetizione in loop delle stesse battute, i corpi inquadrati in ogni loro intimo dettaglio per soddisfare il nostro voyeurismo sono tutti elementi che ci portano ad un solo traguardo: la morte del Cinema, sfondato, decostruito e prosciugato da ogni sua ragion d’essere. Il lavoro sull’immagine attuato da Vincent Gallo è anticonformista e decadente, è una promessa scritta e affondata nelle acque stagnanti hollywoodiane. All’Arte, svincolata dalla sua caratteristica principale, ovvero l’unicità, non rimane che la banalità, il rigurgito dei medesimi cliché narrativi riproposti all’infinito. Per dirla con Gallo: “Vorrei realizzare un film con una ragazza handicappata, lesbica, nera ed ebrea, nel ruolo di protagonista. Così, sicuramente, riuscirei a vincere il Sundance”. Promises Written in Water è una limpida dichiarazione d’intenti, che nel suo ostentato pleonasmo non può far altro che ricordarci colui il quale negli anni ’60 distrusse i miti dell’intero sistema cinematografico Usa: Andy Warhol, l’Artista dell’Ovvio.
Promises Written in Water [Id., USA 2010] REGIA Vincent Gallo.
CAST Vincent Gallo, Sage Stallone, Delfine Bafort, Lisa Love, Hope Tomeselli.
SCENEGGIATURA Vincent Gallo. FOTOGRAFIA Masanobu Takayanagi. MUSICHE Vincent Gallo.
Drammatico, durata 75 minuti.