Contro l’azione
Monte Hellman si fece conoscere per due pellicole, girate praticamente in contemporanea, che negli anni sessanta ridefinirono in parte il concetto di western. L’idea alla base dei due film – La sparatoria e Le colline blu i due titoli – era quella di togliere valenza e densità all’azione per dare importanza simbolica ai singoli gesti e alle singole azioni tanto da assumere contorni metafisici.
Una scelta coraggiosa visto che nello stesso periodo lo spaghetti western diventava il re incontrastato del botteghino (è proprio del 1966 Il buono, il brutto, il cattivo) nonché capace di segnare il genere in maniera indelebile. Hellman quindi (assieme al giovane Jack Nicholson, sceneggiatore di Le colline blu) era quello di percorrere una strada completamente opposta non solo dal western italico ma dal genere stesso. Fin dal riassunto dei plot si può evincere come la consistenza narrativa delle due pellicole sia minima: ne La sparatoria si racconta di un inseguimento da parte di una misteriosa donna, aiutata da due cacciatori di taglie, per soddisfare la propria vendetta; Le colline blu, invece, ha come soggetto la fuga di tre cowboy scambiati per fuorilegge. Appare chiaro come a essere messo in evidenza nelle due pellicole è il rapporto che unisce i personaggi con l’ambiente, e come quest’ultimo assuma forme di contrasto con l’imponenza classica del genere e l’epicità dello spaghetti western. Ne La sparatoria il paesaggio diventa la metafora di un deserto esistenziale a tratti beckettiano nel quale i protagonisti si muovono senza una una ragione apparente, mentre ne Le colline blu l’ambientazione diventa elemento principe di sovvertimento del genere. Proprio come aveva fatto Renoir con L’uomo del Sud, Hellman relega importanza alla fatica e alla materialità propria della vita nel “selvaggio west”, ma senza che quest’aspetto tolga importanza alla forte valenza simbolica del racconto. Il film infatti sottolinea la futilità della differenza tra giusto e sbagliato nell’uomo selvaggio mostrando chiaramente la relatività della giustizia; ma prima di tutto è la colpevolezza dell’uomo ad esser interrogata, pronta a presentarsi come fatalità. L’innocenza sembra non esistere, e in questo caso non si deve limitare il discorso solamente al mondo western ma è l’uomo stesso a presentare ontologicamente la propria brutalità. Le colline blu è un’originale incrocio tra la matericità e il pragmatismo del reale selvaggio con il concetto di colpevolezza come indice della natura umana; un film inoltre che ci ricorda un periodo dove c’era la volontà di sperimentare riflettendo non solo sul genere, ma prima di tutto sul cinema.
Le colline blu [Ride in the Whirlwind, USA 1966] REGIA Monte Hellman.
CAST Jack Nicholson, Cameron Mitchell, Millie Perkins, Harry Dean Stanton.
SCENEGGIATURA Jack Nicholson. FOTOGRAFIA Gregory Sandor. MUSICHE Robert Drasnin.
Western, durata 82 minuti.