I diversi sono tutti uguali
Se c’è un vero problema nella produzione cinematografica hollywoodiana è proprio quello del suo totale asservimento alla logica dei sequel che in questi ultimi anni ha sempre più preso piede, tanto da diventare il prodotto dominante dei botteghini internazionali.
Che ci sia una crisi creativa è noto a tutti, che non si abbia voglia di rischiare è facilmente intuibile ma questi fattori non devono giustificare mediocri realizzazioni quali l’ultimo capitolo della saga di Underworld. La pellicola, di per sé, si presenta monca narrativamente, un’ingarbugliato prologo cerca di spiegare fin dove la serie è arrivata (riuscendo addirittura nell’impresa di rendere caotica la flebile trama degli altri episodi), vediamo quindi la vampira Selene risvegliarsi 12 anni dopo un’epurazione di vampiri e lycan; il suo compito, in questo capitolo, è quello di mettere in salvo la figlia (nata dal rapporto tra la protagonista e l’ibrido Micheal, visto nei precedenti episodi) da un’organizzazione medica di dubbia utilità scientifica e dai lycan, mai del tutto scomparsi.
Il finale, come va di moda ultimamente, rimane sospeso lasciando l’apertura per un prossimo quinto capitolo, rendendo il film ancora meno indipendente narrativamente di come non lo fosse già all’inizio, ma in compenso aumentando la frustrazione dello spettatore; l’elemento narrativo non è messo in difficoltà solamente dall’inconcludenza della pellicola, ma soprattutto da come questo venga progressivamente (all’interno della serie) sempre più marginalizzato divenendo solo un pretesto per mettere in scena combattimenti ad alto tasso spettacolare. Stessa sorte ha subito la serie gemella: Resident Evil, entrambe infatti hanno visto sacrificati gli elementi più pregevoli dei loro esordi a favore di svolte sempre più action.
Ciò che pare chiaro è come ad essere il collante tra i vari episodi nelle due saghe non è la narrazione ma sono le due protagoniste, o meglio le due attrici Kate Beckinsale e Milla Jovovic – visto che i due personaggi non presentano alcuna caratterizzazione se non quella quella del “picchiare duro i cattivi”; non è un caso, quindi, che l’unico tratto distintivo di Selene sia la solita tuta che usano per incelofanarla fin dal primo episodio. Ciò che colpisce è la difficoltà di mettere al centro di film di questo tipo personaggi femminili a tutto tondo. Ma soprattutto, affinché queste siano protagoniste, devono presentarsi come diverse (le due protagoniste infatti non sono umane), e quindi superiori geneticamente all’uomo.
Si smaschera così un intento maschilista e fintamente progressista, dove il tema del diverso (la ghettizzazione dei vampiri), in Underworld – Il Risveglio, è rappresentato come un’autoesclusione dalla società dovuta alla nobiltà della propria razza e non da un’inferiorità (del resto i vampiri sono pur sempre esseri superiori all’uomo), smarcando così le cause alla base dell’emarginazione delle minoranze.