RaiMovie, lunedì 23 gennaio 2012, ore 24
La lunga notte del mondo
Un uomo/Michel Piccoli, di fronte ad un muro, si fa inondare dalle immagini proiettate, ci gioca, le tocca, vi si immerge. Si impressionano su di lui ricordi del passato, il viaggio in Spagna, il toro che lo incorna, che gli entra nella bocca, come un orgiastico amplesso di spirito, idee, materia e luci.
Dillinger è morto è un film sul cinema, sull’immagine e sull’alienazione borghese: un’opera complessa, minimale e allo stesso tempo ridondante, “ideale” e allo stesso tempo materiale. Il protagonista è Glauco, un disegnatore di quarant’anni, che progetta maschere per l’industria, metafora dell’aria tossica che si respira fuori; Ferreri racconta questa lunga notte estiva, spremendo la vita, la sua noia e la banalità delle cose che succedono. Tutto si dilata, i gesti diventano lunghi e acquistano nuovo significato proprio nella loro insignificanza. Glauco vaga di stanza in stanza, scivolando nella sua apatica esistenza, giocando prima col corpo mollemente adagiato sul letto della moglie, per poi insinuarsi in quello della cameriera in un gioco erotico raffinato, privo di qualunque volgarità. Passa poi alla cucina, preparandosi una cena succulenta. Ma ad un certo punto eccola lì, chiusa dentro ad un armadio, lussureggiante, brillante, “accartocciata” in un giornale in cui si narra della morte di John Dillinger: la pistola. La smonta, la respira, la pulisce, ci guarda attraverso, ma anche la dipinge, la mette ad asciugare, per poi disegnarci sopra dei pois, facendola diventare icona pop. Con quella rivoltella inscena un suicidio di fronte allo specchio, rendendo divertissement qualcosa che in realtà non lo è; la violenza e la ribellione di quegli anni s’impossessano di lui e l’arma diventa diletto di “un’aporia” umana alla deriva che non fa niente ma fa tutto, girando per quelle stanze vuote ma piene di oggetti di culto, simboli della modernità. È tutto un atto preliminare Dillinger è morto, preparazione a qualcosa che forse non arriverà mai. Il vertice simbolico è la proiezione dei filmini; le immagini attraverso il proiettore arrivano a lui ed entrano in ogni cellula del suo corpo, tornando a rivivere: Glauco si agita, urla, danza e recita, interpretando se stesso, interagendo con il passato proiettato. In questa sequenza tra mani cinematografiche che passeggiano su uno specchio e mani reali che fanno ombre cinesi e bocca che inghiotte la canna di una pistola appare evidente ciò che Ferreri sostiene: “Al di fuori del cinema non c’è nulla” o, in un certo senso, tutto è proiettabile, tutto è cinema. La bocca della propria moglie, il mare delle vacanze risorgono dagli abissi della memoria e il salotto diventa sala cinematografica e luogo psicanalitico. Un saluto distratto all’arredamento, un cenno del capo al manifesto futurista, mentre ci si è ricongiunti con la Settima Arte e con ciò che si è stati, dovo aver preparato la cena, fatto l’amore, esser un po’ morti e rinati. Ferreri, come sempre, ci sconvolge, consegnandoci una critica spietata, dura, senza esclusione di colpi alla modernità, all’uomo, che si è perso e che vive in una città oramai decadente, asfittica e afasica; un film da vedere, da scoprire, un esempio per il cinema contemporaneo di come un’epoca, che sembra aver perso le proprie coordinate, possa raccontare anche con poche parole e con poche spiegazioni il vuoto generazionale ed esistenziale.
Dillinger è morto [Italia 1969] REGIA Marco Ferreri.
CAST Michel Piccoli, Anita Pallenberg, Gino Lavagetto, Mario Jannilli, Annie Girardot.
SCENEGGIATURA Marco Ferreri, Sergio Bazzini. FOTOGRAFIA Mario Vulpiani. MUSICHE Teo Usuelli.
Drammatico, durata 90 minuti.