Apologia di un Mito imperfetto
“Ciò che determina il retaggio di un uomo spesso è ciò che non si vede”. Con queste parole J. Edgar descrive se stesso, l’uomo e l’intera nazione.J. Edgar, il nuovo e atteso film di Clint Eastwood (sceneggiatura del premio Oscar Dustin Lance Black per Milk), è un biopic duro, intenso e cupo, un classico film alla Clint in cui si racconta l’imperfezione del mondo attraverso l’ascesa di J. Edgar, capo dell’FBI per circa mezzo secolo, l’America proibizionista sempre al limite della crisi.
Si esaminano le fragili fondamenta del mondo e del protagonista, raccontando vittorie pubbliche e sconfitte private, forza del Capo e fragilità dell’uomo senza moglie, amici, ma con una madre/Judi Dench ingombrante e castrante. Se alla luce del sole Hoover appare ligio al dovere, autoritario, irreprensibile, nell’ombra invece quel “ciò che non si vede” fa emergere il Capo bambino – che si fida solo della mamma – “imperfetto” nella balbuzie e nel rapporto con Clyde Tolson/Armie Hammer, suo vice. Eastwood sviscera la costruzione del Mito, Eroe americano, saltando dalla giovinezza alla vecchiaia in cui si sente il peso degli anni, della menzogna, della Storia, otto i presidenti con cui Edgar collabora, varie le politiche con cui fare i conti, ma, mentre le macchine presidenziali passano sotto la sua finestra, lui si trincera dietro al ruolo e alla maschera che lo proteggono dal mondo esterno. Tra ossessione per la pace del paese, azioni al limite della legalità, intercettazioni, diventa il terrore di tutta l’America, del Comunismo, dei gangster, un personaggio tanto mitico quanto scomodo, che non accetta incompletezza e difetto. Nella sua scalata al successo o discesa agli inferi Tolson e Helen Gandy/Naomi Watts, sua fedele segretaria, lo accompagnano, accolgono tutto di lui, che invece li tratta come sottoposti, con freddo distacco, amara superiorità. In una delle scene più intense del film, il braccio destro, isterico, deluso, urla, mostrandosi “scalzo”, dimenandosi in un’ipertrofia della sensibilità che si scontra con l’impassibile Edgar che incassa le ingiurie dell’unica persona che abbia mai amato, ordinando di ricomporsi, rientrando nei ruoli. Eastwood ci invita a partecipare all’invecchiamento del grande Capo, allo sfaldamento dell’ingenuità di un Paese che si esemplifica col rapimento di Lindbergh, capro espiatorio del “male” e della corruzione del mondo – come in Changeling – e questo lo fa con occhio sincero e franco. J. Edgar è un film da vedere e scoprire; contano poco il trucco “isterico” e esagerato dei personaggi invecchiati, l’analisi approfondita del caso Lindbergh rispetto ai “Grandi Eventi” perché alla fine ti restano l’epopea di un uomo, di una nazione, ma anche quel bacio rubato, quel vestito da donna indossato, tutta l’intensità di un film che non ha paura.