Il potere della menzogna
Un gioco in maschera, per far ricordare agli americani e al mondo la scontata ma sempre utile lezione che dal passato e dagli sbagli si deve continuamente imparare. Non una biografia di J.Edgar Hoover, ma una mitologia cinematografica il nuovo film di Clint Eastwood J.Edgar, che attraverso le parole del capo storico dell’FBI ci ripropone ancora una volta la sua personale rilettura della storia americana del ‘900.
A Eastwood poco importa di essere fedele allo Storia, ma allo stesso tempo non bara e non “trucca”, la sua è una specie di rielaborazione finalizzata solo al racconto del lavoratore e dell’uomo Hoover e di chi con lui ha contribuito a farlo celebrare come uno degli uomini più potenti e influenti d’America. In una cronaca che ricorda per la struttura, che alterna il presente al passato, C’era una volta in America di Leone, scopriamo l’Hoover fragile e obbligato a fingere sulle sue imprese mai realizzate e a conquistare tutto con la forza, per non perdere la stima e il rispetto degli altri, ma soprattutto l’uomo privato che mentendo a se stesso ha agito sempre seguendo una visione di fedeltà alla Nazione. Eastwood realizza il suo film più riuscito degli ultimi anni, dopo Gran Torino, in cui, in qualche modo, c’è un sunto della sua parabola cinematografica sia dietro che davanti la macchina da presa, temi quali le sfide da vincere, la famiglia, la memoria storica e la vecchiaia, in un composto che rasenta l’imitazione non caricaturale ma di ideale verosimiglianza. L'”oscurità” e i fantasmi sono protagonisti, insieme ad una ricostruzione d’epoca che non sa di esclusivo valore simbolico ma è minuziosamente credibile, e un makeup che non è aiutato dalle finzioni della computer grafica ma, alla “vecchia maniera”, è solo trucco che gli attori indossano come maschera. Attraverso una regia pulita e essenziale Eastwood ci regala un racconto che attraversa le pagine più nere della storia americana del novecento senza patetismi o furbizie di sceneggiatura, non chiede di patteggiare con Hoover, anzi ci ricorda di come fosse un uomo gretto e bugiardo che nascondeva la sua omosessualità mentre denigrava e cercava di annientare chi avrebbe potuto superarlo in popolarità e fama. A dar corpo al fantasma di Hoover, Clint ha chiamato Leonardo Di Caprio, la sua maschera è quella più convincente insieme alla mamma Judi Dench, nella sua prova attoriale più matura e doverosamente da premiare; il corpo si scolla dall’attore per diventare quello di Hoover in ogni suo tic e forma, una prova che ricorda The Aviator ma che la supera per intensità e che nelle sequenze famigliari e private rasenta la perfezione in mimesi e bravura. Un film sull’America e i suoi fantasmi quindi J.Edgar, ma anche un film sull’amore che Hoover provava per la Nazione, la madre e il compagno di una vita Tolson, dove un semplice fazzoletto si fa allegoria di una passione struggente, un elemento suggestivo e un’emozione che solo il buon vecchio Clint avrebbe potuto regalarci. Pur non essendo il suo capolavoro J.Edgar rimarrà nelle menti come espressione filmica del pensiero eastwoodiano e delle ferite mai curate del popolo americano, non poco per una semplice biografia!