Il favoloso mondo di Améris
Ah, il cioccolato! Inarrivato simbolo di appetiti, idolo prediletto di animi non paghi e prodigo dispensatore di serotonina! Non stupisce che, in tema di affetti e palpitazioni, Jean-Pierre Améris l’abbia eletto protagonista.
Correlativo oggettivo di passioni inespresse e di malgestite tempeste emozionali, la bruna miscela è arte e collante dei suoi beniamini, intenti a plasmarla a propria immagine e somiglianza. Se la trepida Angélique sforna formule da maître, trincerata dietro a fortezze di indispensabile anonimato, l’impacciato Jean-René langue nel limbo di un prodotto mediocre, tanto paventa il rischio di correrne qualcuno. L’una e l’altro scontano il prezzo della stessa condanna: un drastico eccesso di emotività che ne soffoca le esistenze prosciugandone le energie.
Non si tratta, come in Chocolat (Hallström, 2000), di rendere quest’ultimo il simulacro dell’eros. Emotivi anonimi ricorre al cioccolato come al riflesso tout court della vita emotiva, sensibile oltre che sensuale, veicolo e interfaccia di un altrimenti inesplicato universo interiore. La mistica della formula perfetta allude all’alchimia fatale che precede ogni connubio riuscito. Lo stato di grazia dell’amore richiede un arduo percorso di iniziazione e, se il cioccolato ne è il filtro portentoso, il gruppo degli emotivi anonimi riveste il ruolo di mentore partecipe, al pari dei dipendenti della cioccolateria pronti a soccorrere il proprio direttore. E’ questo un umanesimo che torna in auge nel cinema francese, predicando l’innocuità dell’uomo, munifico di innata solidarietà. Carriera e posizione, così come il talento, sono casi subìti più che ambiti traguardi, abiti impropri che mettono a disagio quanto le camicie di Jean-Renè. E chi meglio di due emotivi patologici, per i quali il gesto più banale è slancio eroico vero e proprio, può incarnare altrettanto bontà d’animo e smarrimento? L’insicurezza narrata da Améris – autobiografica, stando alle interviste – è in fondo lo specchio di un desiderio di fuga diffuso ma anche auspicio di un nuovo inizio e, forse, il motivo per cui il film esce in Italia con un anno di ritardo.
Alla sua prima commedia, dopo toni ben più cupi, il regista si avvale di due performance brillanti: Benoît Poelvoorde sprigiona autentico imbarazzo mentre Isabelle Carré, novella Amélie, riunisce grazia canterina e compunto stupore. Améris li asseconda senza interferenze, concedendo accenni musicali e spalancando campi lunghissimi per fughe reiterate. Gradevole, senza mai essere sorprendente, il film fluisce lieve in delicati accenti. Ma sfugge sempre al picco glicemico e, in tempo di festività, non è cosa da poco.