Santoro, anno zero: “la libertà è partecipazione”
C’era una volta in un’Italia sperduta e spaesata un giornalista, Michele Santoro, una sorta di Re Mida che trasformava tutto ciò che toccava in successo televisivo (pensiamo a Sciuscià, a Il raggio verde, al progetto Rai per una notte), che, diseredato da mamma Rai, o meglio dal patrigno Berlusconi, ha voluto/dovuto trovare una terra di “nessuno” da rendere terra di qualcuno, cioè la sua.
Michele Santoro è un grande giornalista, questo è innegabile, sa “intortare” il politico di turno, grazie anche all’appoggio di Marco Travaglio – che, con tono di voce rilassato e quasi monocorde, ferisce con l’arguzia di parole scelte con attenzione certosina l’amoralità di questo o di quello – ci ha abituato alla sua ingombrante presenza, al suo essere primadonna – chi può dimenticarlo pasionario mentre canta, stonato ma a voce piena, O bella ciao; o quando, nei suoi monologhi iniziali di Anno zero, con l’egocentrismo che lo contraddistingue, racconta, con sguardo in macchina, dolente e serio, l’azienda per cui lavora (“Lasciate libera la Rai”) e la futura chiusura del programma e del suo “pensionamento” forzato, in una specie di blasfemo “Perdonali perché non sanno quello che fanno”, ma molto più rock. Michele Santoro non ci sta e – dopo esser stato “disilluso” da La7, la tv intelligente, la rete di quelli “bravi” (Mentana, (forse) dimessosi da poche ore, Lerner e adesso anche Formigli, creatura santoriana) – oggi presenta Servizio Pubblico, che ogni giovedì viene messo in onda su multipiattaforma: Sky Tg24, Radio Capitol, internet – il sito del programma, corriere.it, repubblica.it, fattoquotidiano.it – e varie tv locali . Se è innovativo dal punto di vista della “divulgazione del messaggio”, ancora molto tradizionale è il modus narrandi (i servizi di Sandro Ruotolo, oramai un must, sono piuttosto classici, mostrando la pochezza della classe dirigente italiana e la difficile esistenza di chi (non) vive con uno stipendio normale), quello di intervistare (tutto si gioca su un campo/controcampo dell’intervistatore/intervistato, incalzato e smascherato dal giornalista) e la costruzione del programma (il ritmo è piuttosto lento e le interviste vengono “interrotte” da servizi che riguardano il tema della puntata, da “La balla della settimana” di Travaglio, dalle vignette di Vauro, vestito da frate dell’Inquisizione, come un novello Savonarola). Come sempre lui è al centro, in una sorta di Cantiere, metafora di un’Italia, ma anche di un servizio pubblico, da ricostruire. “Questa è la nostra rivoluzione”, così il nostro apre la prima puntata di Servizio Pubblico, parla della nascita di una terza rete, di una “rivolta del telecomando”, rivolta di cui gli spettatori sono parte integrante, oltre che detonatore primo. Che il presentatore sappia giocare col mezzo è oramai assodato: sa intessere giochi di sguardi, una relazione d’intesa col pubblico, “presentificato” da quello in studio (delle cui vicende personali il giornalista dimostra di essere a conoscenza), che ha il microfono e può partecipare al programma che è un po’ anche suo, infatti Santoro non perde mai occasione di sottolineare ciò, “Avete fatto nascere improvvisamente una nuova televisione”, una sorta di “si è fatta l’Italia ora facciamo gli italiani/la televisione italiana”. Questo è reso ancor più evidente perché i cittadini sono stati resi “editori” – nominati nei titoli di testa – del programma stesso, grazie alla donazione di dieci euro – “10 euro di Tivvù” -, dando un bell’esempio d’informazione partecipativa, partecipazione che si manifesta chiaramente anche dalla pagina facebook sul cui “muro” scrivono gli utenti, oltre al sondaggio a cui tutti possono partecipare. Per concludere se l’esordio è stato un successo – il suo esordio è stato visto nelle tv regionali da 2.276.418 spettatori, su SkyTg24 Eventi da 645.113, per uno share complessivo di 12,03 – al di sopra di ogni aspettativa, nulla sembra impossibile per il mago dell’informazione pubblica, il dato auditel poi è caduto in picchiata (4,99 di share). È difficile capirne i motivi dal momento che il programma di Santoro è molto simile a se stesso, pur divergendone per toni meno tribunizi, l’opinione pubblica si è divisa, se per Il fatto quotidiano i dati sono stati manipolati, per i giornali di destra il mito Santoro era strettamente legato al suo più grande nemico, caduto lui, il Re è nudo.