Il meglio deve ancora venire…
Guardare un concerto seduta su delle poltrone comodissime di un multisala è un’esperienza provata per la prima volta, da chi scrive, in questa occasione. Seduta al buio, con gli occhialini per il 3D calati sugli occhi, in una stanza enorme dove l’unica voce che riecheggia è quella di Ligabue, almeno per tre quarti dell’opera, crea strane sensazioni.
La visione di un caldo concerto nella provincia emiliana, nel freddo dicembre stride. Un concerto è un’esperienza di unione; molteplici persone riunite con lo stesso obiettivo, accaldate e molto ravvicinate, esaltate, saltellanti e infine doloranti. L’idea di partecipare attivamente, di entrare in ciò che solitamente ascoltiamo, attraverso metallici apparecchi, ha qualcosa di magico per qualsiasi amante della musica, di qualsiasi musica si tratti. Ovviamente queste sensazioni si perdono nella trasposizione di un concerto, nonostante gli sforzi del 3D scagliato all’inseguimento dei musicisti sull’enorme palco. Sicuramente l’obiettivo finale di un progetto come questo, riprese di un concerto infarcite da alcuni momenti privati e passati, è la creazione di un mito, di un personaggio dello star system italiano come la grande America degli anni cinquanta ha fatto con le sue leggende cinematografiche. Ovviamente il paragone deve essere fatto con le giuste proporzioni, ma in un paese come il nostro, capace di mitizzare e distruggere nello stesso tempo, personaggi provenienti da ogni parte, l’idea di inserire nell’immaginario collettivo il musicista Ligabue attraverso due ore di film rimane comunque un’ottima trovata commerciale. La parte puramente musicale, di ripresa concertistica, è inframezzata da alcune scene create ad arte per sottolineare come l’“uomo personaggio pubblico” sia al contempo “uomo privato”. Viene fatto sottilmente notare che, nonostante il successo di pubblico e di durata nel tempo (data la ventennale carriera), l’“uomo Luciano” continua a vivere nel piccolo paese di provincia che gli ha dato i natali. La stessa Correggio ripresa in molte scene di Radiofreccia (suo esordio alla regia), gli stessi luoghi di sempre, perché in fondo mai in nessun momento l’ “uomo pubblico”, l’artista macina soldi, ha preso il sopravvento sull’“uomo privato” rimasto fedele ai suoi principi. Eppure, nonostante queste pecche e queste facili morali, capita di ritrovarsi a canticchiare quelle canzoni ascoltate in adolescenza, anche se ormai con l’adolescenza si ha poco a che fare, anche se da tempo i poster sono stati tolti dalle pareti, anche se ci si trova nell’asettica sala di un multisala in un freddo dicembre.