La miglior vacanza della vostra vita. Peccato per gli zombi
Durante una masterclass al Trieste Science+Fiction 2011, George Romero parla degli zombi contemporanei, e della loro estrema velocità: “personalmente a me gli zombi piacciono lenti. Lo devono essere perché sono morti.
Quelli veloci in realtà più che morti sono in genere infettati da qualche tipo di virus. E questo è quello che succede di solito nei videogames, che io credo siano i veri responsabili del successo di oggi degli zombi. Non c’è nessun film sugli zombi che abbia fatto milioni di dollari tranne Zombieland di qualche anno fa, però quello che li ha resi veramente popolari sono proprio i videogames. E il sistema del videogame richiede il movimento rapido, perciò l’industria del cinema si è fatta influenzare e si è detta: ‘Beh, se dobbiamo renderli veloci allora non possono essere morti’. E’ così che è nato l’elemento virus”.
Tutto vero. Gli zombi, più o meno esplicitamente, sono da sempre presenti nella storia dei videogames – citiamo solo l’impossibile Ghost ‘n’ Goblins (1985), o i soldati zombi di Wolfenstein 3D (1992), volendo potremmo riempire pagine di esempi – ma è con Resident Evil (1996) e i suoi capitoli successivi che il morto vivente diventa uno dei principali antagonisti dei videogiocatori di tutto il mondo e, salvo poche eccezioni, a causare l’apocalisse è sempre un virus sperimentale sfuggito al controllo.
Lo stesso per l’ultimo arrivato, Dead Island della polacca TechLand, dove migliaia (sì, migliaia) di “contagiati” mezzi putrefatti, famelici e alquanto rapidi nei movimenti rovinano le vacanze del protagonista sull’isola di Banoi, perla della Papua Nuova Guinea e affollatissima meta turistica per gente (principalmente) ricca sfondata.
Uscito a settembre, Dead Island ha cominciato a destare attenzione fin da febbraio, quando in rete fu rilasciato un teaser di rara bellezza, che smonta con intelligenza e originalità il normale continuum temporale: lo scontro tra un gruppo di zombi e una famigliola in una stanza d’hotel è narrato con un montaggio alternato di scene che, da una parte, cominciano dalla fine e riavvolgono gli eventi al rallenti, dall’altra mostrano a velocità normale l’inizio dell’attacco, fino a coincidere in quello che, in una narrazione classica, sarebbe il centro del racconto. Una sequenza splendida, che la triste e lenta musica di sottofondo rende ancor più straziante, da groppo alla gola, giustamente premiata con il Leone D’Oro al “Cannes Lions International Festival of Creativity 2010”, il più importante evento mondiale riguardante la creatività nella comunicazione.
Il videogioco vero e proprio, però, è tutt’altra cosa. Dopo una notte di bagordi, passata a tracannare whisky e importunare gentil donzelle, ci svegliamo nella nostra stanza d’hotel, e subito ci accorgiamo che qualcosa non va: troppo silenzio, nessun’altro turista nei corridoi ma solo valige incustodite. Una misteriosa voce all’interfono ci viene in aiuto, guidandoci fuori dall’hotel fino a un gruppo di sopravvissuti barricati in un bungalow. Qui, via radio, la voce fa giusto in tempo a dirci che sull’isola è scoppiata un’epidemia zombi cui noi, per un qualche motivo, siamo immuni, prima di perdere il segnale e scomparire nell’etere: è l’inizio di una serie di eventi che ci porteranno a esplorare l’intera isola in cerca di luoghi sicuri e rifornimenti, nel tentativo di resistere alle orde di morti viventi il più a lungo possibile per ripristinare i contatti col mondo esterno e fuggire dall’inferno in cui ci siamo risvegliati.
Dead Island si presenta come un action in prima persona dai forti connotati ruolistici. Dovremo impersonare uno dei quattro personaggi a disposizione, ognuno con caratteristiche differenti che riguardano principalmente l’abilità con le varie armi che avremo a disposizione – un’infinità, dai tubi di piombo alle pistole ai machete – e per ogni uccisione e missione portata a termine otterremo dei punti esperienza, che possiamo usare per migliorare le caratteristiche del nostro avatar. Potremo potenziarne le abilità di combattimento, di recupero e di modifica delle armi: non siamo ai livelli di complessità di un gioco di ruolo vero e proprio, ma certamente sopra la media per un action in prima persona.
Nonostante l’obiettivo principale sia quello di sopravvivere e fuggire, Dead Island non è un survival horror, come molte volte è stato definito. Il terrore costante e gli spazi bui e chiusi propri del genere non trovano riscontro nel videogame della TechLand, a cominciare dal fatto che l’immensa e soleggiata isola di Banoi è completamente esplorabile a piacimento, sfruttando con successo la modalità di free roaming tipica di videogames come Fallout 3 (2008) e Grand Theft Auto IV (2008). Per quanto riguarda il terrore, questo è concentrato principalmente nelle fasi iniziali del gioco, quando ancora non ne conosciamo bene le dinamiche e non sappiamo a cosa andremo incontro. Dopo i primi scontri con gli infetti, la paura lascia il posto alla tattica: i contagiati non sono tutti uguali, ma si differenziano in una mezza dozzina di tipologie dalle caratteristiche proprie, con i quali dovremo adottare diversi approcci.
Punto di forza del videogame, non solo per lo spettacolo ma anche tatticamente, è la possibilità di “smembramento tattico”, giacché i contagiati possono realisticamente essere fatti a pezzi, come in Dead Space (2008). Si può mirare a gambe e braccia, amputando o spezzando gli arti a seconda dell’arma usata, e per velocizzare le cose basta puntare alla testa: morte (definitiva) dello zombi assicurata.
In Dead Island ogni scontro è diverso dall’altro, più o meno complesso da gestire, ma sempre spettacolare dal punto di vista dello splatter – davvero estremo, una manna per gli amanti degli schizzi di sangue! – e molto curato nei dettagli degli zombi. Peccato per tutto il resto, dagli scenari fissi e poco definiti per gli standard moderni, passando per problemi di compenetrazione poligonale fino alla pressoché nulla interattività con l’ambiente che ci circonda. Ma sono altri i problemi che funestano Dead Island, come dei bug che dal nulla non permettono più parlare con personaggi chiave per proseguire col gioco, oppure che fanno sparire dall’inventario armi conquistate con ore di fatica e sudore. Fortunatamente, è stata rilasciata una patch che corregge questi errori, rendendo giustizia a Dead Island, che non sarà un capolavoro, ma certamente un gioco lungo (almeno una ventina di ore) e terribilmente divertente.
Nonostante questo, probabile che Dead Island sarà ricordato per il suo teaser, piuttosto che per le sue qualità. Tant’è che, prima ancora che Dead Island fosse pubblicato, la Lionsgate ne ha acquistato i diritti per farne un film, specificando che la pellicola sarà “un’innovazione nel genere zombi grazie al focus sulle emozioni umane, i legami familiari e una storia non lineare”. Cioè tutto quello che non c’è nel videogame, e chissà cosa intendono per “storia non lineare”. Vedremo. Nel frattempo ricordate sempre: mirate alla testa.