L’uomo è il posto più accogliente dove nascondersi
La Storia del cinema è ricca di film grandiosi prodotti e distribuiti nel momento sbagliato. Ingenti sforzi produttivi, incredibile sperimentazione tecnica, estrema cura per i dettagli non sono sinonimi di sicuro successo commerciale, anzi possono far chiudere studi e rovinare – temporaneamente, nei casi più fortunati – la carriera di registi, attori e maestranze, per motivi di cui non hanno colpa.
Ad esempio, La cosa di John Carpenter ebbe la sfortuna di uscire nelle sale americane il 25 giugno 1982, due settimane dopo E.T. – L’Extraterrestre di Spielberg. Il solare ottimismo dell’alieno che voleva telefonare a casa aveva conquistato i cuori degli spettatori, che accolsero malamente le continue, terrificanti mutazioni della “cosa” extraterrestre di Carpenter, nonché le sue atmosfere claustrofobiche e paranoiche. Il flop al botteghino era assicurato, e così fu. Antartide. Un husky corre tra la neve inseguito da un elicottero che batte bandiera norvegese. L’equipaggio del velivolo cerca in tutti i modi di abbatterlo, e quando il cane raggiunge una base americana, i norvegesi non si fanno scrupoli e sparano contro gli statunitensi nel tentativo di colpirlo. Credendo di essere attaccati, gli americani rispondono al fuoco uccidendo i norvegesi e accogliendo il cane nella loro base. È l’inizio della fine: l’husky è solo l’ultima forma di una creatura aliena in grado di assimilare ogni essere vivente e replicarne perfettamente le sembianze. Quando gli americani se ne accorgono, è troppo tardi: l’alieno si è già mimetizzato tra loro, dando il via a un gioco al massacro fatto di sospetti reciproci a cui solo due uomini sopravvivono. Ma sono ancora uomini? La cosa è, assieme a Il seme della follia (1994), il film più pessimista e devastante dell’opera carpenteriana, dove qualsiasi speranza di salvezza è negata, dove terrore e morte possono colpire in ogni luogo e in ogni momento, dove la stessa identità dei protagonisti è messa continuamente in discussione. Non c’è un attimo di respiro per lo spettatore, che condivide con i personaggi dubbi e paranoie, in un costante stato di terrore e insicurezza. Emozioni così forti che per molti il largo ricorso a effetti speciali estremamente espliciti per l’epoca risultava un fastidioso surplus, che andava a inficiare l’equilibrio della narrazione e copriva di grottesco la sensazione di paura così ben orchestrata. Ecco che, paradossalmente, quello che era considerato un punto di forza, gli effetti speciali appunto, divennero controproducenti e contribuirono all’insuccesso del film. Eppure sono tuttora eccezionali e unici, ai tempi incredibilmente sperimentali e complessi, frutto dell’intenso lavoro di circa 70 tecnici capitanati dai geniali Rob Bottin e Roy Arbogast, basati sulle illustrazioni di Michael Ploog, che riprendono il look dei fumetti della E.C. Comics degli anni ’50. È cult la testa-ragno, omaggiata in molti altri film (citiamo solo Hiruko the Goblin di Shinya Tsukamoto, del 1991) e disgustosamente affascinanti sono le ripetute mutazioni in diretta della “cosa”, ammassi deformi di carne in continua evoluzione che ricordano le opere di Bacon. Un terzo fattore, dopo E.T. e gli effetti speciali, segnarono commercialmente La cosa: gran parte della critica e del pubblico si aspettava un remake del classico La cosa da un altro mondo (1951), firmato ufficialmente da Christian Nyby, ma in realtà opera del suo produttore Howard Hawks. I due film non potevano essere più diversi, seppur partendo dalla stessa base, il romanzo Who Goes There? di John W. Campbell (1938), storia di un alieno in grado di replicare perfettamente ogni essere vivente che porta lo scompiglio in un’isolata base scientifica in Antartide. Mentre Carpenter ricrea fedelmente l’atmosfera paranoica del romanzo, Nyby e Hawks ne riprendono unicamente l’ambientazione, trasformando il mostro in un gigante vegetale antropomorfo, apparentemente indistruttibile e dall’intelligenza superiore, chiamato scherzosamente “la carota” e curiosamente simile alla creatura di Frankenstein. L’idea delle stupefacenti proprietà mimetiche dell’alieno di Campbell viene del tutto tralasciata, e il film immerso nell’atmosfera maccartista del periodo, sottolineata dall’ormai celebre monito finale, “Scrutate i cieli!”, non tanto per il terrore di un’invasione aliena, ma di un attacco sovietico. Oggi La cosa è considerato per quello che è: una pietra miliare del cinema di genere, e Carpenter stesso lo considera il suo miglior film. Un’opera forse troppo avanti per i suoi tempi: ora è innegabile la sua influenza non solo nel cinema fantastico, ma anche, ad esempio, nei videogiochi, e principalmente nei survival horror, che hanno fatto propria la costante tensione orchestrata da Carpenter nel suo film (tra l’altro, nel 2002, la Black Label Games ha tratto da La cosa un videogioco di successo, direttamente legato al film e dal titolo omonimo).
La cosa [The Thing, USA 1982] REGIA John Carpenter.
CAST Kurt Russell, A. Wilford Brimley, T.K. Carter, David Clennon, Keith David, Richard Dysart.
SCENEGGIATURA Bill Lancaster (tratta dal racconto Who Goes There? di John W. Campbell).
FOTOGRAFIA Dean Cundey. MUSICHE Ennio Morricone.
Fantascienza/Horror, durata 96 minuti.