Torino Film Festival, 25 novembre-3 dicembre 2011
Dialoghi a due
La variegata sezione Festa mobile del Torino Film Festival racchiude molte delle proposte più interessanti, tra titoli di grosso richiamo (come Moneyball e Midnight in Paris) e gioiellini che mai vedranno il buio delle nostre sale. In un programma talmente diversificato, sta a chi guarda rintracciare percorsi possibili e tematiche più presenti.
Diversi film scelgono ad esempio la messa in scena del confronto a due, della forma dialogica che predilige ora l’immagine, ora la parola, ora entrambe: narrazioni i cui protagonisti sono legati dal contrasto o dall’affinità, e per motivi preesistenti o contingenti si trovano a condividere una condizione personale, artistica, sociale che diventa simbolo delle possibilità con cui fronteggiare il mondo contemporaneo. In Pater Alain Cavalier dirige l’attore e amico Vincent Lindon e se stesso, riprendendo il farsi di un film tra i salotti di casa, dove Cavalier è il Presidente della Repubblica e Lindon è il suo Primo Ministro: mentore paterno e allievo brillante condividono considerazioni politiche, esistenziali e cinematografiche. Ora parlano i personaggi, ora gli attori, in un dialogo serratissimo tra realtà e finzione senza soluzione di continuità, che permette di pontificare su ideali risoluzioni per le problematiche sociali (redistribuzione del reddito, trasparenza assoluta, massimo salariale) e al contempo svelare i retroscena conflittuali che appaiono inevitabili. Un film che riflettendo sul metacinema riflette anche sull’autoreferenzialità politica, con due voci prima affini poi discordanti che viaggiano stabilmente sui binari dell’ironia.
Un classico percorso di apparente abissale distanza che si trasforma in condivisione caratterizza i protagonisti di Sette opere di misericordia: lei, Luminita, giovane immigrata moldava, lui, Antonio, vecchio solo e malato, lei senza più padri, lui senza più figli, entrambi al di fuori dei normali canali del vivere sociale. La loro storia comune inizia nel sopruso, conseguenza della disperazione di lei in fuga a sua volta dalla violenza familiare. Di silenzio in silenzio, di gesto in gesto, cresce tra i due la consapevolezza della similarità, e con essa la misericordia reciproca. Il film però soffre di un disequilibrio nella rappresentazione dei rispettivi background, con l’aggravante di una certa stereotipizzazione riguardo alla famiglia moldava di Luminita. La regia dei fratelli De Serio non lascia respiro intorno ai protagonisti, sui quali la macchina da presa grava vicinissima e ossessiva, a indugiare sulla lentezza dei gesti, sugli impietosi segni di vecchiaia e sofferenza; la visione è totalmente pilotata, senza vie di fuga né ulteriori spazi di interpretazione, per cui alla fine cresce il senso di distacco laddove vorrebbe imperare il coinvolgimento, e il film finisce per tagliare fuori lo spettatore dal dialogo troppo artificioso di corpi e sguardi.
Una perfetta combinazione di immagini, suoni e parole è invece la grammatica alla base di Jess + Moss, altro poetico racconto sulla condivisione di esperienze presenti, in cui il passato e la memoria di esso hanno particolare rilevanza. La ragazza quasi grande e il ragazzino che inizia a crescere condividono le giornate d’estate nelle campagne del Kentucky: gli anni che li separano si sentono nel diverso peso dei silenzi, dei gesti, dell’approccio agli oggetti, delle rovine materiali ed emotive che li accomunano. Jess e Moss dialogano e litigano molto, tra piccole crudeltà, cianfrusaglie da scoprire e nastri da riavvolgere e risentire all’infinito nell’impossibile tentativo di ricostruire ognuno il perché della propria solitudine “qui e ora”. Il percorso di crescita “asincrona” avviene attraverso differenze che ruotano intorno agli stessi oggetti e alle stesse ossessioni, e si arricchisce nel confronto e nello scontro tra l’infanzia e l’adolescenza, supportato dal tentativo riuscito di usare le possibilità dell’immagine e della composizione cromatica in modo meno convenzionale. Jess + Moss è una toccante raffigurazione del momento delicato della formazione della propria individualità anche quando ogni riferimento è perduto; un inno all’amicizia e al diritto di sapere e capire, poco importa a quale età.