Take it easy
Un tale giornalista di nome Oliver Benjamin fonda nel 2005 il “dudeismo”: una nuova religione, che riprende la sua filosofia da un personaggio cult del cinema fine anni ’90, Jeffrey “The Dude” Lebowski, protagonista di Il grande Lebowski. Il Logo che identifica questo stile di vita alternativo è la riproduzione di una palla da bowling, ispirata però al simbolo del Tao.
Per sintetizzare il punto cardine di un film come The Big Lebowski partiamo da un semplice concetto, o meglio oggetto: la palla da bowling. Dude (o Drugo, nella traduzione italiana) non è un eroe, è un uomo (come ci ricorda la voce narrante/attante di un certo cowboy dell’ovest). Ma cosa distingue un uomo? Non è forse, come ci dirà Big Lebowski (l’altro, quello miliardario) “essere preparati a fare la cosa giusta, a qualsiasi prezzo”? “Certo, ed un paio di testicoli”, risponde Jeff (Bridges) Lebowski. Dude è come una palla da bowling, suo sport (?) eletto, sua unica ragione di vita, se una ce ne deve essere. Lui rotola come le palle lanciate dai giocatori sulla pista da bowling e poi torna, strike o gutterball, implacabilmente indietro, pronta per essere rilanciata. Ed è così il senso anche di ogni storia e della Storia stessa (“l’eterna ruota rotante” di Nietszche, un nichilista, come ne vedremo anche nel film). La voce narrante, un cowboy dai lunghi baffi, ci introduce Dude nella sua essenza: pigiama, vestaglia, ciabatte, capelli e barba lunga, il residuo di un tempo (il ’68), un hippie che si ritrova catapultato negli anni Novanta tra l’apparente opulenza di un mondo senza identità. Ma Dude non è un uomo legato al passato, è uno che si è abituato all’idea che le cose possono anche finire, al contrario del suo amico Walter, reduce del Vietnam, che si preoccupa ancora di custodire il cagnolino dell’ex moglie in vacanza e non perde occasione per ricordare la sua esperienza in una “valle di lacrime”. Per i Coen l’uomo è un perdente, uno che si lascia spingere all’azione solo dalle opinioni altrui, eppure sa il fatto suo. Se il noir è il filo conduttore di un’apparente trama, sono il bowling e l’ispirazione ai musical di Busby Berkeley a regalare una confezione sparkling al film. Nelle sequenze lisergico-oniriche Dude si trasforma nella sua essenza, nella palla da bowling, e insieme a lui, in soggettiva, vediamo il mondo rotolarci attorno. Non farà strike, non lo vedremo mai lanciare una palla, lui sarà lo stesso vettore degli eventi, spinto come in un flipper pin-ball. Il nostro culto per Dude nasce proprio dalla distanza che noi tutti vorremmo prendere in una sequenza di vicende, allo stesso modo in cui nel film il conflitto americano-iracheno rimane sempre un rumore di fondo. Dude non si addentra, attraversa la storia come una veloce palla da bowling, ma forse ha fatto strike su di noi, ci ha spiazzato, ed è tornato indietro al suo posto. Sul suo tappeto, a fumarsi dell’ottima marijuana calato nei suoi pantaloni batik e a sorseggiarsi un buon White Russian.
Il grande Lebowski [The Big Lebowski, USA/Gran Bretagna 1998] REGIA Joel ed Ethan Coen.
CAST Jeff Bridges, John Goodman, John Turturro, Steve Buscemi, Julianne Moore.
SCENEGGIATURA Joel ed Ethan Coen. FOTOGRAFIA Roger Deakins. MUSICHE Carter Burwell.
Commedia, durata 117 minuti.