Sciatteria
La prima prova registica di Francesco Bruni, noto sceneggiatore di Virzì (ma non solo) si presenta come una commedia agrodolce, che ripercorre gli anni dell’adolescenza di un ribelle.
Al centro della storia c’è il rapporto tra un figlio e un padre inconsapevoli l’uno dell’esistenza dell’altro. Bruno Beltrame, un professore ritiratosi al mestiere di scrittore di vite altrui, interpretato da Fabrizio Bentivoglio, è un personaggio che si rifà a molti clichè della più recente commedia all’italiana: insegnante di lettere, che preferisce la solitudine di uno spinello, piuttosto che le chiacchiere della gente, e che con svogliatezza impartisce ripetizioni ai giovani rampolli della borghesia romana. Tra questi c’è anche il ribelle Luca, di certo non un ragazzo asservito alle regole: poco educato, poco studioso, poco metodico. Tipico studente riguardo al quale un insegnante di lettere commenterebbe: “ha le capacità, ma non si applica”. A sangue freddo la madre di Luca, per lavoro costretta a partire per il Mali, rivela a Bruno che questi è suo figlio. Da qui inizia una vicenda epica (nel senso di già vista) tra un padre che pian piano dal disinteresse verso la possibile educazione del giovane, passa dal prestare i film di Tarantino a farsi ripetere ad alta voce le declinazioni latine. Luca, a modo suo comprende pure l’Epica Latina: se Achille non osa combattere, sarebbe come far giocare il Derby alla Roma senza il suo capitano. Ma la conquista del rispetto di un ragazzino così sconclusionato avverrà solo quando un poco buffo boss mafioso amante della poesia riconoscerà il suo vecchio adorato professore in Bruno, e Luca sarà salvato da una pioggia di dardi virgiliani moderni, da un sacco di botte insomma. La trama per quanto banale è corredata da una selva di personaggi ben approfonditi, ma con toni ironici che poco conquistano, dalla pornostar oggetto della biografia che Bruno sta scrivendo, interpretata da Barbora Bobulova, che di vero ha solo un accento est europeo, al malavitoso che ama arte e letteratura e che costringe amici dal dubbio quoziente intellettivo a guardare i 400 colpi di Truffaut. Arrampicatori sociali che avendo fatto quello, che nessuno voleva fare, si permettono il lusso e la parvenza di un’estrazione alto borghese.
Ma niente di più, nonostante Bentivoglio col suo accento veneto provi a farci masticare meglio questo piatto di spaghetti all’amatriciana, se manca il vero guanciale e la pasta è scotta, il gusto rimane sciatto. Se Bruno nel film confessa al figlio di non esserci stato in tutti quegli anni per aver peccato un giorno di sciatteria, Bruni nonostante l’esperienza nel campo stenta a conquistarsi del rispetto anche alla regia.