Come farci quattro risate e vivere felici
L’anglo-materano Roan Johnson, vissuto a Pisa, esordisce nel lungometraggio dopo una serie di sceneggiature con una commedia leggera leggera, ma ispirata a una storia vera, che, se non altro, ha il merito di avere un cast efficace nei tre personaggi principali, ma anche in quelli di contorno, tra i quali salta all’occhio, nel ruolo del barista di simpatie fasciste, Pierpaolo Capovilla, voce de “Il teatro degli orrori”.
Pur non mancando i momenti divertenti e le sequenze azzeccate, grazie all’affiatamento degli attori Claudio Santamaria e i giovani Cioni e Turbanti, anche loro al primo lungometraggio, il film soffre di un’incertezza di tono, tra il comico e il surreal-grottesco.
Il puro gusto della narrazione può intrattenere lo spettatore, ma senza concedergli una riflessione sulla complessità dello sfondo storico della vicenda, che si svolge dal primo al tredici giugno 1970. E non bastano i rapidi accenni, sui titoli di testa e di coda, a pagine inquietanti della storia di quegli anni, dal colpo di stato in Grecia nel ’67 alla strage di piazza Fontana, fino al golpe Borghese, per ottenere un’immersione totale nel periodo immediatamente precedente gli anni di piombo. I poster di Hendrix e dei Grateful Dead a casa del Masi, il leader paranoico del buffo trio di pisani finiti nel carcere di Villach per essere sfuggiti ai controlli dei carabinieri al confine austriaco, la citazione di Mao (“Bisogna essere come pesci nell’acqua, confondersi tra la gente comune”), la A112, lo scontato omaggio a De Andrè, nel finale irreale e un po’ buonista, dove i tre sembrano viaggiare nel futuro, cantando spensieratamente Quello che non ho e incontrando i veri Masi, Lulli e Gismondi, magari inteneriscono i nostalgici, ma paiono messi lì con scarsa convinzione. Anche il riferimento al regime videocratico che ha affossato l’Italia negli ultimi trent’anni rischia di non essere colto (“in tv via con la pubblicità, ognuno pensa per sé e in culo agli altri”). Così, il film finisce per soffrire della stessa mancanza di coraggio dei suoi protagonisti.