L’Ironia della vacuità o l’apologia dell’Idiota
Un prodotto fatto per divertire e incassare. Una rappresentazione grottesca e inquietante dell’Italia di oggi. Un affresco dalle tinte forti ed esasperate della società che incombe mostruosa su di noi.
Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio scrivono gli sketch di I soliti idioti, serie tv che imperversa su Mtv, fenomeno che ha preso il sopravvento su youtube e, dal 4 novembre, un film – prodotto dalla Taodue di Valsecchi e da Mtv – che in sole ventiquattrore è riuscito a conquistare i botteghini (700000 euro d’incassi). Gianluca/Biggio sensibile, timido, sta per sposarsi con la sua storica fidanzata che ha il solo torto di essere poco attraente; il padre, Ruggero De Ceglie/Mandelli, alcolizzato e rozzo, la mattina del matrimonio, scommette un euro che il figlio potrà concupire la sensualissima star (Madalina Ghenea) di Smutandissimi. Mandelli e Biggio invitano al matrimonio anche Fabio e Fabio, Gianpietro e MariaLuce, Gisella e Sebastiano: la coppia omosessuale che vuole procreare, i due borghesi che si vestono in pandant per nascondere una disarmonia di coppia, il fattorino e l’impiegata delle poste, indisponente e seccante. L’opera cattura il giovane pubblico, dividendo la critica, facendo diventare quegli esseri sgangherati e adorabili una “questione politica”, sembra paradossale ma la vacuità, la volgarità – il “dai cazzo”, leitmotiv della pellicola, seguito da improperi di ogni tipo nei confronti del figlio – , il senso del ridicolo è ciò che rende il film vivo, vitale, contemporaneo; quel grido “Che paese è questo, Gianluca?!”, è ciò che ci chiediamo, sconsolati e depressi, assistendo sbigottiti ai soliti Idioti, che ci governano e circondano. Di fronte all’ Italia, bardata “all’idiozia”, non possiamo far altro che dire, come Fabio, senza armi e “vogliosi del nulla”, “non lo so Fabio, non lo so”, e anche noi siamo coinvolti in un viaggio di “dis-formazione”, su quell’ambulanza Milano-Roma, anche noi parliamo al contrario come Gianluca, anche noi come MariaLuce e Gianpietro vorremmo essere moderni, dicendoci “è normale”, ma in realtà abbiamo una smorfia tra lo “schifo” e la paura. Il film scorre tra canzoni, trivialità, in una coazione a ripetere che forse toglie l’immediatezza dei tre minuti televisivi, e mentre quando usciamo dal cinema sappiamo che era solo un film, “purtroppo” quella che ci attende fuori è la “dura” realtà.