Missione riuscita in piccola parte
Missione di pace ha concluso le settimane della critica del recente festival veneziano: il film di Francesco Lagi si propone di essere una commedia satirica, un po’surreale, che vuole colpire sia il militarismo che certi eccessi del pacifismo ideologizzato. Se i personaggi raccontati alla fine riescono, rocambolescamente, a portare a termine la loro missione e a raggiungere gli obiettivi, lo stesso non vale per il film, che non rispetta le proprie ambizioni e che si può dire riuscito solo in minima parte e in certi momenti.
C’è da dire però che Francesco Lagi ha avuto il merito di provare a staccarsi e a differenziarsi dalla medietà innocua e insipida della cosiddetta “neo-commedia all’italiana”, dominante sui nostri schermi nell’ultimo periodo. A differenza di Genovesi, Brizzi, Miniero, il giovane regista ha provato a rendere la nostra commedia più sferzante, più “socialmente utile”, più originale e anche più divertente. Insomma, ha cercato di dare un po’ di sapore inedito al genere che è stato croce e delizia della nostra cinematografia degli ultimi trenta anni, sbagliando però la dose di molti ingredienti.
Il problema di Missione di pace è, infatti, che appare un film irrisolto, incompiuto, in cui molti aspetti, anche interessanti, rimangono solo accennati, e molte strade iniziate non vengono seguite fino in fondo. Per esempio, qua e là fa capolino il tono farsesco e demenziale, che, se seguiti con coraggio fino in fondo, e non solamente “sussurrati” come invece appaiono, avrebbero garantito quella carica dissacratoria ed eversiva che il film cercava. I momenti surreali e onirici, questi ultimi con protagonista un Che Guevara scazzato e un po’ disilluso, che probabilmente sono i momenti più riusciti del film, sembrano non avere un ruolo e un senso preciso nell’economia del film. Anche le stranianti canzoni di Bugo, in sé interessanti, non si capisce bene che utilità abbiano. Tutto questo, come detto, è solo accennato, quasi ci si trovasse davanti ad un progetto di film, a cui avrebbero giovato una seconda rilettura, e soprattutto la scelta una chiave di narrazione e un tono dominante precisi e seguiti con sicurezza e maggiore spregiudicatezza fino in fondo.
Alla fine è la mancanza di coraggio, e l’incapacità di scegliere un’atmosfera dominante, a rovinare la riuscita del film e la sua efficacia satirica: il sapore inedito che si è cercato di dare si sente in poche scene, da sole valide ed efficace, ma troppo rare e isolate per salvare un’opera che, nonostante le intenzioni nobili, alla luce dei risultati non si discosta più di tanto dalla media scipita della commedia italiana di questi ultimi anni.