Un’avventura d’altri tempi
Probabilmente Le Avventure di Tintin – Il Segreto dell’Unicorno dà inizio all’ultima importante serie di film in 3D sul quale grava il peso di dimostrare, ad un pubblico sempre più scettico, l’utilità di una tecnologia che fino a questo momento solo in rari casi ha reso memorabile il suo impiego.
Per fugare immediatamente ogni dubbio possiamo dire come questa tecnologia all’interno di Tintin sia stata utilizzata diligentemente, non è assolutamente un 3D posticcio, visto in più occasioni in questi anni, capace di alternare vari metodi d’utilizzo, dall’esaltazione della profondità di campo (mai eccessiva come in altre pellicole che al contrario ottenevano l’effetto opposto), alle modificazioni dell’immagine attraverso diversi filtri visivi.
Ma oltre a questo Spielberg decide di realizzare anche sequenze rocambolesche e ricche d’azione racchiudendole tutte addirittura all’interno di una sola ripresa, questo soprattutto grazie alla totale realizzazione delle riprese in motion capture (purtroppo non ci sono più i piani sequenza di una volta!), ma l’effetto però non riesce a coinvolgere pienamente come altre riprese più statiche e meno roboanti, su tutte la semplicità della sequenza degli specchi che ci mostrano il ciuffo del protagonista all’inizio.
Il 3D di Tintin insomma, seppur realizzato con attenzione e iniziativa, in realtà si mostra come un accessorio lontano dal ricoprire un ruolo attivo sul piano della narrazione o su quello del significato; stesso discorso può esser effettuato con la motion capture – strabiliante tecnicamente, certo, ma che in ogni caso lascia freddini per l’incapacità di sostituire del tutto la figura umana.
Se quindi la pellicola esteriormente potrebbe lasciare insensibili, la vera capacità di Spielberg è quella di realizzare un film in grado di scaldare lo spettatore ricreando le atmosfere del cinema passato, come dimostrano le numerose citazioni che vanno da Hitchcock a Huston o da Wilder a Spielberg stesso. Ciò che riesce a coinvolgere di più non è la semplice e singola citazione, ma l’atmosfera e il senso d’avventura che oggi sembrano essere quasi inediti e che contrariamente derivano dalla volontà di sorprendere e stupire propria dei registi dell’epoca d’oro di Hollywood; qui Spielberg si prefigge lo stesso intento e con la medesima intensità, ma con un importante aggiunta: la passione reverenziale nei confronti di quel cinema.
Il regista di Jurassic Park, insomma, ci ricorda (forse anche in parte involontariamente) come per realizzare pellicole coinvolgenti, e avvolgenti, non sia necessario, per forza, inventarsi futuristiche tecnologie ma semplicemente guardare al passato.