Roma, 27 ottobre, 4 novembre 2011
Michael Mann – lezione di cinema
Nella sua “lezione di cinema” al pubblico che riempie la sala Petrassi dell’Auditorium, Michael Mann ci tiene a precisare che i suoi personaggi nascono dalla vita vera, non da altri film.
Il Dollarhyde di Manhunter è stato costruito da Mann dopo una corrispondenza con un vero serial killer, Dennis Wallace. Anche quando la sceneggiatura è ispirata alle esperienze reali di ladri o assassini, come nel caso di Strade violente o Manhunter, Mann è interessato a trasmettere soprattutto il lato umano degli individui, a permettere allo spettatore di identificarsi e sentirsi vicino ai protagonisti dei suoi film. Per ottenere questo, Mann sfrutta tutte le potenzialità del mezzo cinematografico. Dalla recitazione alle scelte di fotografia, dal montaggio alla colonna sonora, sempre molto curata, tutto è pianificato accuratamente per creare un effetto di autenticità, di immersione in un mondo concreto, ma anche psicologico. Il realismo è un obbligo per Mann, che, come Kubrick, si documenta sempre in modo approfondito prima di iniziare le riprese, raccogliendo informazioni, dati, stimoli sul periodo in cui vuole ambientare il film. Così Mann è riuscito a far comprendere intuitivamente agli spettatori gli anni Sessanta di Alì e la fine di un popolo, nell’Ultimo dei Mohicani. È proprio a causa di questo perfezionismo che Mann, pur ammettendo ai amare film come Sfida infernale, confessa di sentirsi lontano da John Ford, che in un anno portava a termine tanti film, ma pochi con grande passione.
Quando gli fanno notare di essere stato uno dei primi a girare in digitale, Mann risponde che è grazie al digitale che in Collateral ha potuto mostrare la cappa che cala sulla città di notte, il vapore che si illumina con il riflesso della luce di Los Angeles. Il digitale gli consente, inoltre, di lavorare con maggior disinvoltura con gli attori, dai quali Mann pretende la stessa dedizione completa che caratterizza il suo approccio al film. Per Will Smith interpretare Alì è stata un’esperienza totalizzante. Russell Crowe ha dovuto imparare a giocare a golf e prendere lezioni di chimica per Insider. E il cast di Heat, compresi i due divi Pacino e De Niro, è stato addestrato all’uso delle armi con pallottole vere. Per ricavare dagli attori interpretazioni memorabili, Mann spesso assegna loro ruoli molto diversi da quelli precedenti. Così Tom Cruise diventa in Collateral un gelido killer e Crowe sveste i panni del gladiatore, per dare corpo ad un uomo appesantito e oppresso dalla responsabilità di denunciare i crimini delle industrie del tabacco.
Il concetto di “collisione” torna più volte nelle parole di Mann, quando commenta le sequenze dei suoi film mostrate al pubblico. La collisione delle diverse soggettività in Heat. La collisione tra natura selvaggia e colonizzazione nell’Ultimo dei Mohicani. La collisione tra le storie dei personaggi in Miami Vice. Emerge, dunque, rivedendo in sala i momenti salienti del cinema di Mann, dalla sparatoria di Heat alla suggestiva sequenza con la tigre in Manhunter, la sua straordinaria capacità di sintetizzare, concentrare, far collidere appunto, in poche, indimenticabili, intense sequenze di forte impatto visivo, conflitti, desideri, vite intere. Subordinando lo stile all’universo narrativo, ma senza rinunciare ai valori estetici. Con un occhio rivolto ai pensieri, alle azioni dei personaggi e l’altro al mare.